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La rivoluzione allegra di Giulia Mei è una bandiera di libertà

Tra momenti sinfonici, slanci elettronici e racconti di vita autobiografici, la cantautrice siciliana ha inaugurato l’edizione 2025 dell’Hiroshima Sound Garden con un live davvero completo, delicato e travolgente al tempo stesso


Delicata e travolgente: dovessimo riassumere in due aggettivi una performance live di Giulia Mei, potremmo scomodare senza dubbio questi. Due aggettivi apparentemente contrastanti, ma che rendono bene l’idea di un’artista pronta a spiccare il volo proprio grazie a un’eterogeneità in grado di farsi manifesto di stile, sia alla voce che al piano. La cantautrice siciliana ha confermato ancora una volta questa tendenza esordendo da protagonista assoluta nella prima serata dell’edizione 2025 dell’Hiroshima Sound Garden, la rassegna culturale estiva targata Hiroshima Mon Amour.

A salire sul palco dello storico locale torinese è stata una storia musicale che, nonostante la giovane età della diretta interessata, ha saputo farsi strada tra contesti difficili ma estremamente stimolanti come quello di Palermo, percorsi accademici importanti al Conservatorio, show televisivi come X Factor, due album realizzati e apparizioni in manifestazioni storiche come il Concertone del Primo Maggio. Tutte queste influenze possono spiegare (o possono farlo almeno in parte) la complessità che Mei è riuscita a ricreare dal vivo alternando momenti sinfonici rappresentativi della sua formazione classica, slanci elettronici contemporanei, cambi di ritmo repentini, racconti di vita autobiografici e incursioni nel parterre.

A supportarla in questo viaggio sonoro, in modo molto efficace, sono stati i compagni di viaggio Dario Marchetti (batteria elettronica e synth) e Luca Zeverini in arte Vezeve, sorprendente beatboxer (ma anche musicista con loop station e synth) in grado di dare un abbondante tocco di altrove grazie alla propria arte estemporanea. I tre, insieme, hanno saputo creare un contesto intimo ma dinamico al tempo stesso, sottofondo ideale al pop raffinato e diretto di Giulia Mei. Ad aggiungere ulteriore fascino al tutto ci ha pensato il maltempo: a causa delle minacciose nuvole, infatti, il concerto è stato spostato all’interno, contribuendo a far svoltare la serata verso quell’iconica atmosfera da club tipica di Hiroshima.

La vera peculiarità di Giulia Mei è però legata ai suoi testi: incisivi e femministi all’ennesima potenza, una bandiera di libertà per la rivoluzione, o meglio, contro la non rivoluzione, giusto per citare due tra i suoi pezzi più noti e apprezzati (Bandiera e Un tu scuiddariNon ti scordare in palermitano – realizzata con la collega Anna Castiglia). La scaletta scelta per l’Hiroshima Sound Garden ha sbattuto in faccia ai presenti, come una dichiarazione di guerra, questa militanza civile e musicale, con la fica a fare da vessillo contro tutte le forme di violenza e sopraffazione in ogni tipo di contesto (familiare, lavorativo, culturale, sociale…).

L’invito, gridato forte dal palco attraverso l’inedito Cara allegria – registrato in studio con un’altra grande protagonista del pop d’autore nostrano come Mille –, è anche quello di portare avanti questa rivoluzione senza dimenticarsi della felicità. Un monito seguito in prima persona sia attraverso il modo disinvolto e spontaneo di muoversi sul palco – non importa se protetta dalla gabbia dorata di piano e synth o se vulnerabile ed esposta durante i momenti più tirati –, sia attraverso una parlantina spigliata e mai eccessiva, che ha contribuito ad aumentare il feeling con un pubblico curioso e affezionato, pronto a cantare e ballare a ogni minima sollecitazione.

Con un background come quello appena descritto, arricchito da indiscutibili e innate doti di performer e connettore di anime, sorge una domanda spontanea: è lecito aspettarsi un ulteriore salto di qualità da Giulia Mei? L’immagine che ci ha lasciato all’ultimo respiro, scatenata a ballare e gridare sul ritmo praticamente techno dell’altro suo brano-manifesto Io della musica non ci ho capito niente (title track del secondo e ultimo disco), ci ha suggerito esplicitamente la risposta: sì! Questo fotogramma ci ha infatti restituito un’artista che, con un pizzico di sperimentazione e incoscienza in più, potrebbe davvero distinguersi come qualcosa di unico nel panorama musicale italiano e non solo.

 

foto di Alessandro Gennari

Marco Berton

Giornalista non convenzionale: scrivo di diversity per lavoro e di musica per passione. Ossessionato da camicie e maglioni hipster, credo che la normalità non esista e che un altro mondo sia possibile.

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