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Il live di Lamante a Off Topic è un bellissimo pugno allo stomaco

A Off Topic, Lamante e la sua band ci guidano in un viaggio ad alto impatto sonoro tra amore, morte e rivoluzione. Dall’introspezione mantrica allo sfogo collettivo, la sua musica è libera di esplorare profondità emotive


L’abbiamo conosciuta in apertura ai CCCP durante il Flowers Festival della scorsa estate e, già dal primo articolo recuperabile qui, era scoccata una scintilla d’amore con la sua musica. Lamante, nome d’arte di Giorgia Pietribiasi, porta con sé tanto dell’essenza della sua personalità artistica fondata sul contrasto. Ci siamo rincontrati a Off Topic in occasione del suo primo live torinese, in formazione (semi) completa, e abbiamo avuto la possibilità di scambiare qualche chiacchiera preliminare, che ha amplificato l’impatto emotivo del concerto. Nei prossimi giorni uscirà su Polvere l’intervista, preparatevi perché sarà carica di spunti di riflessione.

Classe ’99, Lamante rappresenta una categoria di giovani cantautrici che rifuggono le logiche di mercato per dedicarsi all’arte in maniera viscerale. La sua creatività si esprime con erotismo e onestà e vanta il supporto di una band compatta, con cui condivide le radici scledensi e un lungo lavoro in sala prove. Ci regalano un suono inedito: un interessante incontro tra folklore popolare, musica mantrica e punk, in una veste alternative che richiama i suoni degli “Anni ’00 Indie vero”.

In un ambiente molto rilassato, si apre il live con l’ingresso di Lamante e gli altri componenti del gruppo: Elia Guglielmi alla chitarra elettrica e ai cori, Giulio Tisato al basso e Piero Pederzolli alla batteria. Insieme intonano, in stile canto partigiano, il primo mantra della serata: «Per un attimo dolore, poi solo l’amore». La frase viene ripetuta a cappella, con il supporto fisico e corale dei musicisti. Un inizio evocativo, che anticipa al pubblico quale sarà il leitmotiv della serata: una mano sul cuore e un grido in gola.

La formazione si appropria dei propri strumenti e l’elettronica si fonde al rock, con un tiro tellurico che percuote le viscere. La sezione ritmica è incalzante, mentre quella melodica punta all’ipnotismo; il tutto, su testi di estremo realismo, che regalano un bellissimo pugno allo stomaco.

Una per una, tutte le canzoni che compongono l’album In Memoria Di – co-prodotto con Taketo Gohara –, aiutano a delineare una storia coerente e, a tratti, ossessiva. La ripetizione è una formula comunicativa molto efficace, dal carattere primordiale, ed è uno degli elementi chiave dell’intensità emotiva che caratterizza il repertorio della cantautrice.

Si alternano momenti dinamici come Rossetto, Ed è proprio così e Prima di te, che partono con l’ingresso delicato della chitarra acustica di Lamante ed esplodono in una maleducazione sonora e vocale, citata nel ritornello della prima canzone. Se consideriamo la “maleducazione” come un andare contro alla compostezza, richiesta in ogni ambito artistico, si può solamente dire: viva la maleducazione!

Dall’altra parte ci sono esplosioni in pieno stile punk che, in un paio di minuti di frequenze sature, scompigliano l’energia del pubblico: Ebano e Non chiamarmi bella ne sono l’emblema. Proprio su quest’ultimo, Elia Guglielmi scende dal palco per far partire un pogo, al quale il pubblico si unisce senza pensarci due volte. Senza dubbio, uno dei pezzi più forti dell’album.

Ogni canzone conduce con stratificazione verso temi universali, rappresentati con crudezza: amore, morte e rivoluzione. Brani come L’ultimo piano sono un susseguirsi di scelte stilistiche raffinate, che regalano riff e groove goduriosi e ingaggiano la platea, spingendola a partecipare con la propria voce e il proprio accompagnamento percussivo. Stesso discorso vale per Come volevi essere – che ricorda l’armonia e l’intensità crescente della musica dannata di Jeff Buckley – e Guerra & Pace, un brano che affronta domande esistenziali e si apre a sonorità elettroniche che culminano in uno scream, per poi chiudersi con una riflessione ideologica tratta da una delle ultime lettere della zia Loredana: «Non ci saranno più né scuole né chiese, perché il mondo diventerà una scuola e una chiesa».

Proprio la scomparsa zia di Lamante è la protagonista del brano più toccante del repertorio, Ciao cari, così come dell’omonima opera di Stefano Guglielmin. Una canzone straziante chitarra-voce, che affronta il tema dell’autodistruzione, contrapposto a una nuova nascita. La commozione è inevitabile, così come i brividi che percorrono la pelle per ogni parola pronunciata con trasporto.

La band ha presentato anche un brano inedito, Il vuoto, ispirato alla capacità umana di immaginare l’inesistente e al movimento grunge, emerso dal vuoto totalizzante di Seattle. Il pezzo è nato prima sul palco che in studio, ma c’è da sperare che procedano il prima possibile a registrarlo perché, senza fare troppi spoiler, «Una magia più forte della morte sei tu» è una frase che tocca profondamente.

Tra un’esibizione e l’altra non mancano momenti di racconti aneddotici al limite del surreale, ne è una prova la storia che ripercorre la nascita di La nostra prova di danza, una canzone che si è definita grazie all’imprevedibile zampino di Motta. Da canzone d’amore a dedica per la sorella maggiore: «Una viaggiatrice che ha cambiato mille volte odore della pelle, accento, modo di camminare». Oppure, l’affettuoso ricordo al nonno Mario che, con la sua vita contadina, ha insegnato a una piccola Giorgia l’importanza di abbracciare la perdita.

Senza distanza alcuna tra palco e pubblico, il concerto si conclude con un bis a grande richiesta. L’affezione è palpabile, la sensazione di aver condiviso molto più di un semplice incontro sonoro anche. Lamante è carismatica, in grado di smuovere emozioni profonde, di veicolare l’ascolto in un intimo viaggio tra radici, memoria collettiva e identità culturale. Un grosso sospiro di sollievo, per un panorama musicale che premia l’estemporaneità e penalizza la complessità.

 

foto di Gabriele Tuninetti 

Mattia Macrì

Creativo. Cant-Autore. Storyteller. Neurodivergente. Mi esprimo in musica da quando l'ho scoperta, ma da prima scrivo storie. Amo qualsiasi tipologia di performance artistica e i meccanismi della mente umana. Il motivo per il quale scelsi di studiare Chimica Industriale spesso ancora mi sfugge.

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