Getting Killed non è solo un album: è un manifesto generazionale che cattura la vulnerabilità, l’irrequietezza e la voglia di esporsi di un tempo fragile, traducendole in una narrazione sonora che urla e sussurra, senza mai cercare rifugio nella consolazione
Chi ha detto che la musica debba farci sentire al posto giusto? Chi ha deciso che un album debba guidarci, rassicurarci, farci trovare l’orientamento in un mondo sempre più confuso? E se invece avesse il compito opposto? Quello di confonderci, di farci vacillare, di costringerci a confrontarci con l’irrequietezza che ci portiamo dentro? È proprio questo che i Geese esplorano nel loro terzo album in studio – Getting Killed – pubblicato per Partisan Records e Play It Again Sam. Esso non cerca consolazione né evasioni: non rincorre utopie, non vuole rassicurarci. È un flusso di coscienza paranoico, un’esplorazione dell’angoscia esistenziale e della sfida al sistema che rispecchia perfettamente la schizofrenia controllata della musica contemporanea.
Già dall’urgenza quasi straziante di Trinidad, con l’urlato «There’s a bomb in my car», si percepisce la tensione irrequieta. La stessa attraversa ogni brano, costituendo un filo conduttore che guida l’ascoltatore nel caos sonoro. I Geese si muovono tra generi come punk, jazz e indie. Traducono in suoni il flusso dei pensieri, le ossessioni moderne, i paradossi della vita quotidiana. Non c’è mai una pausa. Ogni nota, ogni accelerazione e ogni silenzio raccontano qualcosa, portando l’ascoltatore dentro le contraddizioni di una generazione che osserva il mondo con disgusto e umorismo macabro.
Temi di relazioni deteriorate emergono con forza in brani come Cobra e Au Pays du Cocaine. Parlano della tenacia nell’aggrapparsi a legami ormai logori, del desiderio di continuare a servire o appartenere a qualcuno anche quando la propria importanza svanisce. In parallelo, testi surreali e sarcastici, come in 100 Horses con la frase «All people must smile in times of war», mostrano la stessa lucidità tagliente. La canzone diventa metafora dell’assurdità della guerra e della propaganda statale che costringe le persone a sorridere e ballare, mantenendole ignare degli orrori che accadono intorno a loro. Qui la forte impronta dei Radiohead non è una frase fatta: si sente nelle atmosfere sognanti ma taglienti, nello sguardo lucido e ironico di Cameron Winter e soci, nella capacità di guardare al tumulto globale senza cedere al sentimentalismo facile.
Tutto questo acquista un peso ancora maggiore se lo si colloca all’interno della traiettoria della band. I Geese, ormai difficili da etichettare in un solo genere, mostrano in Getting Killed una maturità che raccoglie e trascende le esperienze dei lavori precedenti: dall’indie rock di A Beautiful Memory all’incisivo post-punk di Projector, fino al southern rock e blues di 3D Country. Questo nuovo lavoro sembra unire tutto in un unico manifesto di irrequietezza, uno specchio sonoro della generazione attuale, di quelli che suonano adesso e sentono il bisogno di scuotere il mondo piuttosto che accomodarlo.
Il percorso si chiude con Long Island City Here I Come, dove la voce di Winter si muove sulle chitarre e sulle percussioni con un equilibrio nuovo. Dolcemente e con tensione convivono insieme, lasciando respirare la musica in modi che i brani precedenti non concedevano. È un finale che non rassicura, ma accompagna l’ascoltatore fuori dall’urgenza, preparandolo a ritornare al mondo con occhi leggermente diversi.
Ed è proprio in questo equilibrio tra caos e apertura che si svela l’anima del disco. Getting Killed non è solo un album: è un manifesto generazionale. Racchiude i sentimenti di caos, irrequietezza e disorientamento che definiscono questa epoca, ma anche la voglia di aprirsi, di concedersi, di non restare prigionieri delle proprie paure. I Geese hanno confezionato una narrazione musicale che urla, sussurra e provoca, portando chi ascolta dentro un mondo inquieto e affascinante, un mondo che riflette la nostra epoca con una sensibilità rara, senza cercare di rassicurarci con facili consolazioni.

