Forever Howlong, terzo disco in studio della band britannica Black Country, New Road, è il riassunto del percorso del gruppo dall’abbandono di Isaac Wood in avanti. La sintesi della loro resilienza, derivata da una grande e profonda amicizia, e la necessità di esprimerla con gioia, tra folk progressivo medievaleggiante e indole barocca
A febbraio 2022, quella che per comodità potrebbe essere chiamata “musica indipendente” è stata travolta – nel bene e nel male – da una vicenda che ha davvero coinvolto e occupato il dibattito per tutto l’anno. Mi riferisco a quanto successo al gruppo britannico Black Country, New Road in concomitanza e successivamente all’uscita del suo secondo album in studio, Ants From Up There. L’abbandono del progetto da parte del frontman Isaac Wood, per via di quella depressione da successo che è il fulcro tematico del disco, ha spinto il resto della band a proseguire il proprio percorso lasciando quanto realizzato con Wood al passato, per poter ricominciare con del materiale totalmente nuovo e scritto durante il tour mondiale (raccolto nel live album Live at Bush Hall). Una storia che sa di amicizia, di resistenza, di voglia di celebrare l’amico che ha deciso di allontanarsi e di proteggere lui e il lavoro fatto insieme. Come loro stessi si descrivono in Up Song, una delle canzoni realizzate in quel periodo: «Look at what we did together: BC, NR friends forever».
Ciò che emergeva maggiormente da quel periodo è che i Black Country, New Road erano consapevoli che non potevano e non volevano scimmiottare quanto costruito in precedenza, nei due album in studio pubblicati con Isaac. Per rispetto del loro amico e compagno, ma anche di loro stessi, era necessario crearsi una strada nuova, tracciando un percorso che potesse non solo capace tenere conto del passato, ma avere anche il coraggio di guardare avanti. I brani che hanno fatto parte di Live at Bush Hall sono la dimostrazione plastica di questa volontà, di questa necessità e del sentimento purissimo delle persone che li hanno creati. A prescindere dal giudizio qualitativo, al di là del confronto (inevitabile) con il passato e le aspettative del pubblico: ora la band è una cosa nuova, che sa che cosa era e che proprio per questo ora guarda altrove.
Arrivati a gennaio 2025, era decisamente poco chiaro cosa sarebbe stato del gruppo. Si sapeva che avrebbero proseguito, che l’esperienza fatta con i tour dei due anni precedenti sarebbe stata circoscritta a quel periodo e non perpetuata oltre, ma non era ancora stato esplicitato quale sarebbe stato l’orizzonte in studio dei Black Country, New Road. Certo, c’erano degli indizi: la band iniziava a comparire nei cartelloni di molti festival importanti e piano piano annunciava delle date che i fan avrebbero dovuto appuntarsi sul calendario. A fine mese, in concomitanza con l’uscita del singolo Besties, le carte sono state scoperte: ad aprile sarebbe arrivato il terzo album in studio della band, intitolato Forever Howlong, accompagnato da un lunghissimo tour mondiale durante tutto l’anno.
È importante prendersi il tempo per contestualizzare, prima di entrare nel dettaglio del disco che finalmente è uscito. Infatti, il tema centrale che viene sviluppato in Forever Howlong deriva e dipende dal pregresso che ha portato i Black Country, New Road a scrivere, comporre e incidere gli undici brani presenti nel disco. Non avrebbe lo stesso significato parlare del cambio di tono, che è passato dal dramma interiore di Isaac Wood alla gioia ritrovata dallo stare insieme che ci raccontano ora le voci di Georgia Ellery, Tyler Hyde e May Kershaw, senza avere coscienza del percorso. È infatti proprio in quel percorso che l’album nasce e si sviluppa: i sei componenti rimasti ragionano su se stessi, sul loro progetto collettivo e su ciò che hanno costruito e ricostruito con il sorriso sulle labbra. E lo fanno, perché no, con una discreta nota di orgoglio.
Laddove i precedenti dischi in studio dei Black Country, New Road proponevano uno struggente post-rock dal grande potenziale drammatico, Forever Howlong si prende invece la responsabilità di costruire un paesaggio sonoro più bizzarro, barocco, che strizza l’occhio a un contesto dal sapore medievale. Come se la band diventasse una sorta di entità bardica che racconta le gesta di dame e cavalieri – se pur intervallate da narrazioni in cui torna il presente, come quando Ellery descrive se stessa come «a walking Tik Tok trend» –, realizzando canzoni che dal passato della band ereditano certamente l’evidente dono musicale di ciascuno dei suoi musicisti, ma lo coniugano in spazi differenti di cui si era già avvertita la presenza. Qui, infatti, viene fuori nel modo finora più evidente tutta l’indole folk della band, che pesca dall’eredità cavalleresca del suo paese alcune idee a livello di strumentazione e di arrangiamenti, mescolandole con una forte componente prog (anch’essa britannica) anni ’70. Dove una volta i riferimenti diretti erano l‘art rock di Arcade Fire e Bright Eyes, qua si hanno echi tanto di Yes e Genesis quanto di personalità che hanno sperimentato con il medievale nel contemporaneo, come Joanna Newsom.
Da quei contesti, Forever Howlong eredita anche lo sguardo narrativo: il tono lirico è sempre leggiadro, sognante ma mai patetico o eccessivamente enfatico. Piuttosto, c’è una volontà di mantenere il tutto su un piano più strettamente immaginifico, fantastico e capace di creare sensazioni complesse attraverso storie che intrecciano fantasia e vita vera reale. I Black Country, New Road creano una piattaforma di suoni e parole che si rifà a un’eredità fatta di stramberie vagamente new weird, dove il passato (non vissuto direttamente) è il contesto in cui valutare il presente, in cui essere grati e orgogliosi del proprio percorso.
È possibile indossare il supporto che si riceve dalle altre persone e che puntualmente si restituisce come un’armatura indistruttibile, consapevoli che niente potrà scalfire qualcosa di potente come l’amicizia, anche quando arriva la notte e tutto quanto ci fa più paura. L’amicizia viene vissuta come una struttura di protezione, non come un’arma per offendere ma neanche come una bolla totalmente incorruttibile dall’esterno: al contrario, se ne abbraccia la fragilità, perché è quello che la rende unica («I’ll take off my armor, if you promise to stay», viene recitato in For the Cold Country). Tutto questo emerge attraverso metafore e storie di personaggi immaginati che si intrecciano con il vissuto di ciascuno dei componenti della band, restituendo a chi ascolta un valore simbolico molto forte.
Tra mandolini, organetti e storie di cavalieri solitari che assomigliano a James Dean, Forever Howlong è un viaggio in una dimensione in cui immaginazione e realtà si incontrano per celebrare i rapporti umani, grazie ai quali è possibile realizzare qualcosa che da soli sarebbe impossibile.
Un rapporto di amicizia che diventa arte: qualcosa a cui tutti dovremmo avere la fortuna di poter accedere, almeno una volta nella vita.