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Flight b741: il capitolo blues rock dei King Gizzard & The Lizard Wizard

I King Gizzard & the Lizard Wizard non si fermano. La band australiana, col suo ventiseiesimo album in studio, esplora un altro genere e lo ingloba nel suo sound facendolo proprio. L’esperimento però, seppur divertente e gradevole, alla lunga risulta ridondante. Ma la qualità artistica dei sei di Melbourne resta indiscutibile


Partiamo da questo presupposto: i King Gizzard & the Lizard Wizard sono dei pazzi! Attiva dal 2010, in 14 anni di carriera la band australiana ha pubblicato la bellezza di 25 album. Nel solo 2017 Stu Mackenzie e soci ne hanno tirati fuori ben 5, ripetendo l’impresa nel 2022.

Il loro genere? Di base quel moderno psychedelic rock tutto made in Australia che vede Tame Impala come maggior esponente e una scena numerosa e affiatata composta da band quali Pond e Psychedelic Porn Crumpets. Ma la discografia dei sei di Melbourne è quanto di più variegato possa esistere sul mercato. Le influenze sono innumerevoli, dal folk al jazz, dal garage al krautrock, dallo stoner al fusion; hanno anche fatto un album che sembra la colonna sonora di uno spaghetti western, ma sotto acidi. E in uno dei loro ultimi lavori hanno esplorato sonorità più pesanti, sfociando nel thrash metal. Tutto questo senza mai snaturarsi, mantenendo quel senso di perdizione lisergico tipico della psichedelia che è il fil rouge del loro sound. E in ogni genere affrontato, sono sempre rimasti fedeli alla loro attitudine di polistrumentisti sperimentatori che giocano coi generi e non si prendono troppo sul serio.

A meno di un anno di distanza da The Silver Cord, nel quale sono stati abbandonati strumenti acustici quali chitarra, basso e batteria in favore di guitar synth, drum machine, sequencer e sintetizzatori di vario genere (per un disco di pura elettronica allucinogena), la band esce col nuovo Flight b741. Inutile dire che è un album completamente diverso dal precedente.

I KG&LW sono sempre stati molto attenti all’idea estetica dietro al progetto. Ogni loro cover è un artwork articolato e pieno di dettagli. Anche in questo caso è impossibile rimanere indifferenti di fronte a una copertina cartoonesca come quella di Flight b741: un quadriplano di legno sul quale sembrano vivere una serie di maiali. Per chi da piccolo ha visto Barnyard – Il cortile, l’idea grafica è quella, dunque estremamente comica e grottesca.

Se già dalla cover ci si può immergere in un’ambientazione da fattoria americana, le 10 tracce che compongono il disco sono la colonna sonora adeguata per un ulteriore immedesimazione nell’atmosfera appena descritta. Perché Flight b741 presenta sonorità di chiaro stampo blues rock e country rock. A predominare è l’armonica a bocca di Ambrose Kenny Smith, che già nella prima Mirage City, insieme ai licks chitarristici e alle armonizzazioni vocali sixties, ci spalanca il cancello di legno verniciato di bianco. Paglia in bocca e benvenuti nel nuovo romanzo rurale targato KG&LW.

La successiva Antarctica è tutt’altro che una traccia fredda (come potrebbe indicare il titolo). Prosegue invece con l’idea sonora dell’opener. La chitarra dialoga con il pianoforte, poi con l’armonica, per poi prevalere con un assolo fuzzato sporco e acido. Field of Vision è una traccia più propriamente blues. Veloce, dal tiro deciso e dal ritornello in cui riecheggiano i Black Keys più commerciali ma comunque interessanti di El Camino. Un coro beatlesiano apre Hot Calling Contest, che è però la traccia più aggressiva. La batteria picchia sul ride in un ritmo jazz forsennato, vivace, da pogo. Poca armonica, tanta chitarra. Il primo singolo pubblicato La Risque ricorda il boogie rock alla ZZ Top. Ora più che mai, il sud degli USA è radicato nell’anima dei KG&LW. Alla fine i deserti australiani e quelli texani hanno molto in comune.

Dalla title track Flight b741 in poi, però, il tutto comincia a risultare ripetitivo, soprattutto se si sta ascoltando l’album tutto d’un fiato. Il trip non è abbastanza pshichedelico e le successive Sad Pilots e Rats In The Sky cadono nel dimenticatoio. Ciò è inevitabile per una band così bulimica da non riuscire a rendere particolarmente memorabile ogni singolo brano presente in un proprio album. Non ci riesce quasi quasi nessuna band, figuriamoci una che ha all’attivo centinaia di canzoni in quelli che sono relativamente pochi anni di carriera.

Nei quasi 8 minuti della conclusiva Daily Blues c’è un compendio ancora più elevato del sound e del mood del disco. Qui l’armonica dà il meglio di sé in numerosi assoli, ma resta il fatto che l’esperimento blues/country/garage/psychedelic rock, arrivati a questo punto, ha già detto anche troppo. Bastavano i primi tre/quattro brani per comprendere l’incredibile qualità tecnica ed esecutiva dei King Gizzard & the Lizard Wizard. L’album dura all’incirca tre quarti d’ora, e nel suo essere un prodotto divertente non presenta particolari guizzi artistici, solo la voglia della band di dimostrare ancora una volta quanto i suoi sei eclettici membri siano bravi a muoversi tra i generi e gli stili. E sono bravissimi, sanno quello che fanno. Sicuramente è un disco che in live saprà far scatenare non poco l’appassionato fandom della band.

Marco Nassisi

Per me scrivere di musica vuol dire trovare una scusa per ascoltarne tanta, scoprirne di nuova ed esprimere un'opinione che mi metta un po' d'ordine in testa.

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