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Fight war, not wars: il movimento anarco-punk italiano e la lotta alla società militare

svg27 March 2025CocciStorieBrando Ratti

La totale opposizione alla guerra e alla corsa agli armamenti ha caratterizzato il movimento anarco-punk italiano dei primi anni ’80. In una società governata dalla violenza e dalle tensioni sociali, abbracciare l’ideologia pacifista e tentare di sabotare l’industria della guerra rappresentò un interessante conflitto politico-generazionale di cui è sempre utile parlare. Soprattutto oggi


Comiso è un piccolo paesino di circa trentamila anime situato alle porte di Ragusa. Uno di quei paesini che occupano il primo entroterra siciliano e caratterizzato da quei centri storici tipici della trinacria. La classica meta in cui quelle famiglie allergiche al turismo di massa potrebbero trascorrere la settimana delle ferie di ferragosto. Comiso rappresenta però anche un simbolo per tutti coloro che, all’inizio degli anni ’80, sacrificarono il proprio tempo e il proprio corpo per opporsi alla militarizzazione del Paese e sabotare la guerra nucleare che rischiava di far saltare in aria il mondo. Nel 1983, infatti, l’alto comando NATO decise che l’aeroporto militare presente nel paese avrebbe dovuto ospitare al suo interno alcuni missili Cruise a testata nucleare da utilizzare per difendersi da un eventuale attacco sovietico o, al contrario, per prendere in contropiede i sovietici in caso di attacco anticipato.

Ovviamente, avere una batteria di missili atomici gestita da un manipolo di pazzi guerrafondai vicino alla porta di cas, non piacque alla popolazione locale che, anche grazie all’enorme solidarietà nazionale e non solo, riuscì a costruire una bellissima e variegata mobilitazione che portò, nei primi giorni dell’agosto 1983, al blocco dei lavori della base. Nonostante le cariche selvagge e indiscriminate della Celere e i ripetuti abusi sui manifestanti inermi avvenuti l’8 agosto 1983, la Battaglia di Comiso ha rappresentato il coraggio del popolo contro la viltà della guerra e in difesa della propria terra calpestata dagli anfibi militari.

Le proteste di Comiso videro però anche la partecipazione di numerosi collettivi anarco-punk italiani che, riuniti sotto il network Punkaminazione”, erano attivi nella lotta agli armamenti nucleari. Nel caos politico degli anni ’80, infatti, tra terrorismo nero, repressione dello stato e lotta armata, il movimento punk italiano – “guidato” dal Virus, un centro sociale occupato da alcuni punk milanesi – aveva teorizzato una forma di pacifismo intesa come un vero e proprio sabotaggio (talvolta violento, talvolta no) a tutto ciò che “produceva” guerra: dalle basi militari alla propaganda perpetrata da alcuni organi di informazione nazionali.

Una delle forme maggiori per esprimere la propria opposizione al mondo militarizzato era, chiaramente, quella musicale. In questi anni, infatti, non si contano i pezzi contro la guerra scritti e suonati da tantissimi gruppi punk italiani: vere e proprie poesie contro la guerra condite da un suono duro, aggressivo e veloce che esprimeva la rabbia contro la società militare ma, allo stesso tempo, rappresentava anche l’aggressività e la monotonia di quella società stessa.

Tra i principali suonatori di questa rabbia ci sono i Wretched, storico gruppo milanese che nel 1983 pubblica In nome del loro potere tutto è stato fatto…, un bellissimo EP in cui viene espresso il totale rifiuto nei confronti dello stato, del potere da questo esercitato e dello spirito guerrafondaio propagato dalla società occidentale. Un esempio è proprio il pezzo Spero venga la guerra, un inno di circa 45 secondi in cui il gruppo si augura che la guerra scoppi per davvero perché solo davanti agli orrori e alle stragi ci accorgeremo che, forse, avremmo potuto fare qualcosa.

Anche i milanesi Rappresaglia, colleghi e amici dei sopracitati Wretched, non mancarono di esprimere il proprio “anarco-pacifismo” con il brano Rifiuto (disponibile nella raccolta 1982-1983), in cui si grida che nessun giovane vuole finire a nuotare in un fiume di sangue impugnando una bomba a mano e una baionetta in nome di una guerra santa voluta da alcuni «bastardi moralisti».

L’invito a rifiutare le logiche militari arriva anche dagli udinesi Eu’s Arse che nel brano Servitù Militari, metà declamato metà cantato, nel caratteristico modo acuto e sincopato che contraddistingue il gruppo, imputano la sofferenza generazionale di quel periodo alla mentalità militarista che governava la società italiana. La soluzione proposta non è però quella di una lotta collettiva ma, al contrario, di una presa di coscienza individuale che porterà alla liberazione dell’individuo.

Sono i comaschi Armm, (Combatti per la tua Pace) che, invece, invitano le giovani generazioni a combattere, sì, ma per la propria pace: la gente non vuole soffrire e, soprattutto, non vuole morire per colpa di qualche fanatico che gioca a fare la guerra.
Il tema della guerra ricorre anche nell’omonimo brano dei Peggio Punx, Guerra, pubblicato nel 1983. I punk alessandrini, infatti, ci regalano una macabra filastrocca distopica in cui viene dichiarato che la guerra sta arrivando e distruggerà tutto. E ormai è davvero troppo tardi e troppo inutile provare a cambiare la propria vita.
Anche se non fanno propriamente parte della galassia anarco-punk, anche i bolognesi Nabat hanno affrontato il tema della militarizzazione con la bellissima – ma forse sottovalutata – No Armi. Nel testo della canzone, infatti, è perfettamente rappresentata la società italiana: una società schiava delle armi, della religione e delle multinazionali.

Una divertente cronaca della Battaglia di Comiso è raccontata da Marco Philopat nel libro Costretti a Sanguinare, edito da Agenzia X Edizioni. Oltre alla gloriosa giornata di scontri che ha caratterizzato la giornata dell’ 8 agosto 1983, nel racconto si evidenziano anche i momenti di confronto, di dibattito e di scazzi avvenuti all’interno di quel variegato e contraddittorio movimento pacifista che individuò, nella base siciliana, l’obiettivo su cui concentrare la propria protesta. Perché, tra i racconti dell’erba dinamite prodotta da uno squatter olandese, della diffidenza degli abitanti locali nei confronti di giovani con creste e chiodi di pelle, dei gas lacrimogeni che si mischiano col caldo estivo e dei tentativi di organizzare concerti punk improvvisati, emerge la volontà di una generazione che vuole fermare a tutti i costi il pericolo di un olocausto nucleare.

Una volontà e un entusiasmo di cui avremmo bisogno anche oggi. Ora più che mai.

Brando Ratti

Classe 1990, nasco e cresco a Massa, patria della Farmoplant ma anche dei genitori di Piero Pelù. Dottorando, ho un certo feticismo per le sottoculture, la musica underground, i filosofi presi male, i videogiochi presi bene, i film brutti e i libri belli. Nonostante il cognome, ho paura dei topi.

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