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Femina: essere donna secondo Ginevra

Con il suo secondo album, Ginevra mette da parte il synth-pop degli esordi in favore di un sound più aggressivo e tipicamente rock, senza tuttavia sacrificare il suo intimismo e regalando una dichiarazione d’amore alla donna e alle sue fragilità. Un personale manifesto di resistenza


Ginevra aveva già dimostrato di essere una delle cantautrici più interessanti del panorama pop recente. L’aveva fatto con i singoli, gli EP, le numerose collaborazioni. E infine col suo album d’esordio, il cui sound elettronico etereo al servizio di una voce delicata le aveva permesso di esprimere il suo mondo interiore.

Con Femina, uscito per Asian Fake e Sony come i precedenti lavori, Ginevra sceglie di virare su sonorità più sporche e dirette. Non abbandona i synth, ma ora a predominare sono chitarre elettriche, basso, batteria e un songwriting ispirato agli anni ’90/inizio 2000, le cui influenze vanno dai Radiohead ai Portishead, dai Pixies a Fiona Apple; prima di tutto, però, l’ispirazione sembra arrivare dall’immortale Joni Mitchell e dall’Ethel Cain pre-Perverts. L’idea della cantautrice torinese – da anni trapiantata a Milano – è quella di un disco dal messaggio più chiaro possibile; nella semplicità, Ginevra esprime la necessità di mettere l’essere donna al centro del discorso, partendo dalla propria esperienza personale ed estendendo il messaggio a chiunque vorrà far parte di questo suo viaggio interiore.

La opening my baby!, uscita come primo singolo, dal punto di vista sonoro si presenta come una dichiarazione di intenti: muri di chitarre accompagnano la voce distorta di Ginevra, che però resta sempre fedele al proprio concetto di melodia. La canzone può ricordare per certi aspetti anche il lato più rock della hit Happier Than Ever di Billie Eilish, a ulteriore dimostrazione di una modernità che tiene la cantautrice ben ancorata alla contemporaneità.

Il disco è un ottimo equilibrio tra brani in cui il pop più radiofonico la fa da padrone, come cupido – che tuttavia è dotato di una certa complessità nascosta dietro all’apparente leggerezza di un riff acustico – e brani nei quali è facile immergersi in chitarre riverberate e perdercisi dolcemente, come nei sogni che non vorresti finissero mai. A questo proposito, un pezzo come ragazza di fiume, in cui Ginevra racconta della sua Torino, è la perfetta espressione della profonda emotività che avvolge l’intero album.

Nel parlare intimamente di sé stessa, è come se l’autrice si guardasse allo specchio, riflettendo su chi è e su chi vorrebbe – o immagina di voler – essere. Lo esplicita in 30 anni, dove la malinconia che permea l’intero brano porta a un progressivo climax emozionale capace di esplodere nel ritornello fino a sfumare nel finale oscuro, tra suoni suggestivi e liriche introspettive. In cosa voglio cosa vuoi, l’artista scava nel proprio tormento e il “tu” e il “noi” a cui fa riferimento non sembra mai essere un agente esterno, ma sempre e solo Ginevra. Tale ricerca di un equilibrio all’interno della propria esistenza si traduce in un brano che è forse il più aggressivo di tutti, dove i riff decisi si alternano ad arpeggi dal sapore grunge, in una continua altalena emozionale.

Uno dei pezzi più belli, musicalmente e concettualmente parlando, è la title track Femina, che si pone come il manifesto della poetica dell’intero progetto. Qui, Ginevra esplicita l’intento di rendere il femminile il vero protagonista del disco. Un basso portentoso è il tappeto sonoro sul quale un testo crudo e feroce si presenta come una dedica a tutte quelle donne vittime di violenze, costrette a lottare ogni giorno per far valere la propria dignità. «Mi spogli con gli occhi e mi spari perché sono femina», canta Ginevra ripetendo l’appellativo fino al momento in cui i suoni di un colpo caricato in canna e dello sparo che ne consegue si perdono nel vuoto, anticipando un ritornello dalle liriche potenti.

«Puoi anche cancellare me
Ma ho in mente un solo modo per fregarti.
Vi lascerò un’eredità,
Un giorno dal mio corpo nascerà
Una femina, femina, femina, femina»

A concludere il viaggio sono l’acustica verità, dalla spiccata sensibilità folk, capace di fluttuare nell’aria anche grazie alla fusione della voce di Ginevra con quella del cantautore Colombre; e la fonte, che in sé racchiude la perfetta fusione tra le due anime della cantautrice, quella dei sintetizzatori sognanti e quella del rock più energico. Quest’ultimo, però, sempre al servizio di una poetica che in Femina si esprime senza troppi giri di parole e che rappresenta, senza alcun dubbio, il cuore pulsante di un album coinvolgente ed emozionante.

Marco Nassisi

Per me scrivere di musica vuol dire trovare una scusa per ascoltarne tanta, scoprirne di nuova e fare un po' d'ordine nella testa.

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