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Father John Misty purifica la sua visione in Mahashmashana

svg28 November 2024AlbumRecensioniLuca Parri

Con un riferimento alla cremazione nel titolo, il sesto album di Father John Misty è un atto di pulizia interiore per raggiungere la piena catarsi musicale e lirica, ritrovandosi nella sua forma più pura possibile in un album più che mai personale e riconoscibile


In lingua sanscrita Mahashmashana (महाश्मशान) significa più o meno “campo crematorio”, concetto che può avere significati molteplici: la pira più semplice ma anche l’atto di purificazione delle culture per lasciare poi spazio a nuove piante con tutte le implicazioni che questo gesto può portare. Non stupisce quindi che un cantautore come Josh Tillman – vero nome di Father John Misty –, che ha sempre legato la sua produzione musicale alla spiritualità, abbia scelto proprio un concetto così trascendentale e rituale per il sesto album del suo progetto artistico.

Tillman, diciamocela tutta, non è mai stato lontano da queste operazioni: i suoi album sono sempre stati dialoghi tra se stesso e il suo alias artistico, in cui riflette su tematiche autobiografiche e altre più suggestive. Il suo percorso musicale si è sempre dipanato attraverso l’atto della predica spirituale e la descrizione del sé, tra la profezia fatalista e il diario personale. Tutto ciò, nel bene e nel male: creando una spaccatura tra chi apprezza la sua visione e chi la trova poco interessante e troppo egoriferita. Quel che nessuna delle due parti può negare, però, è l’acutezza del pensiero che sta dietro quasi ogni cosa firmata Father John Misty: l’ironia tragica che usa è tagliente e funziona, così come funziona il tono apocalittico, barocco e decadente che caratterizza i suoi brani.

Mahashmashana, dal punto di vista dell’acume, della bipolarità e del contatto con lo spirito è a oggi il disco che più di ognuno dei precedenti descrive la parabola distruttiva del suo autore e la cristallizza attraverso il suo alter ego. Se la musica per il nostro è sempre stata un palcoscenico –una sorta di maschera pirandelliana da far cadere a piacimento lasciando intravvedere chi ci sta dietro –, arrivando a definirla “pura commedia” e definire se stesso come «il cliente preferito da Dio» (riferimento a due degli album precedenti dell’arista), ora è giunto il tempo di bruciare e bruciarsi. È il momento di incenerire il superfluo, di purificarsi per raggiungere la purezza artistica e personale. Questo, però, non significa rinunciare a se stesso o rinnegarsi: tutt’altro. In questo disco troviamo esattamente Father John Misty come ce lo aspetteremmo.

Lo incontriamo nei consueti pezzi dalla durata importante. Tra tutti, la title track in apertura che sfiora i dieci minuti, in un disco i cui brani ne durano in media tra i cinque e i sei. Lo ritroviamo nella scrittura acidula come critica a se stesso, anche abbastanza eloquente con titoli come Josh Tillman and the Accidental Dose Mental Health. Ci si presenta davanti nel modo di affrontare gli argomenti: predicando, raccontando di fatti personali come fossero una testimonianza di un profeta rovinato dalla sua spinta autodistruttiva. Tillman e “il Padre” si mostrano a noi, a vicenda e a se stessi senza veli, spogliati da orpelli esterni ma solo nelle loro reciproche essenze, che si influenzano l’un l’altra. Un atto purificatorio non significa negazione, annullamento o cancellazione; almeno non per forza. Piuttosto può, come in questo caso, rappresentare distillazione, concentrazione assoluta di uno spiritualismo che non è solo performativo o di facciata ma è necessario esorcismo del sé.

Anche a livello musicale, l’album segue questa linea: i barocchismi pop e i repentini cambi di atmosfera tipici dei suoi lavori in Mahashmashana sono più ampi, selvaggi e incontrollati. La struttura morbida, confortevole dei componimenti crea il consueto spazio in cui si adagia comodamente la voce di Josh Tillman; gli arrangiamenti ariosi e orchestrali sono spazio di crescita enfatica. Un suono caldo ma amaro allo stesso tempo, malinconico e bohemienne, ma anche dannatamente americano nel suo classicismo pop.
Insomma, un album che sembra rispondere alla domanda: come sarebbe un millennial in un piano bar di un locale negato da Dio, in una sperduta località degli Stati Uniti? Ma anche: come parlerebbe della sua vita e delle sue esperienze, ora che è rimasto solo se stesso a raccontarsi?

Mahashmashana è quindi la cenere di Father John Misty: la sua essenza, il suo più puro essere e, ad oggi, anche il suo disco migliore. Quello che forse potrebbe finalmente farlo risultare simpatico a chi lo vede troppo edonista e presuntuoso perché stavolta, forse, alla buona novella del predicatore — che forse qui è addirittura santone — potrebbe davvero credere.

Luca Parri

33 anni tra design, giochi, fumetti, cinema e musica con sempre le stesse prerogative: amore per l'underground, approccio geek, morale punk e gusti snob.

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