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Fabri Fibra è un viaggio nel rap italiano

Il live di Fabri Fibra al Flowers Festival è un viaggio avanti e indietro nel tempo, compiuto da chi la storia del rap italiano l’ha vissuta e poi fatta. Uno di quei viaggi in cui non è importante la meta, ma l’onestà, che regna nei testi, nei beat, nell’attitude da palco.


Sono passati sette anni dall’ultimo live di Fabri Fibra al Flowers Festival di Collegno (TO). Molte cose sono cambiate da allora — la discografia e la situazione geopolitica, per dirne due —, ma lui è rimasto fedele a sé stesso: un puro ambasciatore del rap italiano.

Come abbiamo già raccontato nella recensione del suo ultimo disco Mentre Los Angeles Brucia, per il rapper di Senigallia è fondamentale rivendicare la storia culturale che ha visto nascere il rap italiano: quell’ibrido singolare tra hip hop d’oltreoceano e cantautorato italiano. Questo genere musicale — partito come movimento di controcultura — ha negli anni conquistato il mainstream ma, nel farlo, ha dovuto rinunciare alla propria crudezza. A parte poche eccezioni, la militanza, la critica sociale, il rifiuto del sistema sono stati sostituiti da un linguaggio disinnescato, che parla alla massa più che ai veri fruitori del genere. Ecco, Fabri Fibra rappresenta l’essenza di questa musica. Lui, che la storia del rap l’ha prima vissuta e poi scritta, è la persona giusta per ricordare al pubblico eterogeneo del 2025 quali siano i valori dietro a questa espressione artistica.

Torino non aspettava altro che il suo ritorno. Il Parco della Certosa si stipa di gente, con un sold out da circa ottomila persone che, durante le due ore di live, non hanno smesso un secondo di interagire con Mr. Simpatia. A riprova di quanto detto sinora, la scenografia sul palco è una dichiarazione d’intenti minimale ed efficace: una sontuosa audiocassetta bianca, sormontata da DJ Double S — a.k.a. Mais Appeal —, che riempie il palco e rappresenta orgogliosa l’inizio di questa avventura per Fibra: «Mi ricordo che nei ’90 rappavamo su basi storte».

Il pezzo di apertura non poteva che essere L’Avvelenata (Pretesto) — con il campionamento di Francesco Guccini —, che riassume il complicato mestiere dell’artista inserito in un contesto capitalistico. A questo proposito, consiglio di recuperare l’intervista con Alessandro Cattelan, in cui sono palpabili l’ansia e il peso delle aspettative in grado di attanagliare anche un capo saldo della scena musicale come Fabri Fibra.

«Ma s’io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, le attuali conclusioni. Credete che per questi quattro soldi, questa gloria da stronzi, avrei scritto canzoni?»

Senza nemmeno accorgersene, la scaletta viaggia velocemente tra le diverse sfumature comunicative del repertorio: i brani si susseguono con incastri perfetti creando momenti distinti, ognuno con un’emozione dominante che ingaggia il parterre a partecipare allo show. Esaltato dal classico coro da stadio «Olè, olè, olè, Fibra», il rapper si tuffa in un set di hit estive: La pula bussò, Demo nello stereo, Propaganda e — il singolo di quest’anno — Che gusto c’è. Poi, una volta soddisfatta la richiesta di “fare casino”, arriva il momento di un salto temporale.

Mr. Simpatia resta uno dei dischi più iconici del primo decennio del Duemila: Venerdì diciassette, Rap in vena, Non fare la puttana e la title track sono ancora capaci di creare un’onda di energia che converge nel pubblico. Tra chi le ascolta per la prima volta con immersione e chi ne decanta a memoria i testi, come si farebbe con i Canti leopardiani. Della stessa caratura sono i singoli provenienti da Bugiardo, Tradimento e Turbe Giovanili. Riferendosi a Mi stai sul ca**o l’artista commenta: «Quando ho scritto questa canzone non esistevano neanche i live di rap italiano. Non puoi capire che emozione è cantarla qui».

Il pubblico salta sui beat; si sloga le spalle a furia di alzare le mani al cielo e muoverle a tempo; si sgola per partecipare attivamente al concerto. Una volta raggiunto l’apice del sudore, è felice di rilassarsi con pezzi più emotivi. Iniziando dalle linee melodiche di Caos, passando al flow old school tipico di Neffa con Panico, per arrivare alla commozione collettiva con Stavo pensando a te.

Dopo due ore di performance non-stop, Fabri Fibra scende dal palco, soltanto per ritornare con l’ultima esplosione della serata: Tranne te — il pezzo più inflazionato della sua discografia, ma che continua a coinvolgere trasversalmente qualunque tipo di pubblico —. Infine, la vera conclusione del live arriva con Luna piena, una canzone che risale al 2002, caratterizzata da un’atmosfera sognante grazie al pianoforte jazzy.

Con questa buonanotte, Fibra ci chiede implicitamente di alzare gli occhi al cielo e, come fa lui nei suoi testi, di tornare a casa guardando la luna. Mi raccomando, non in senso letterale.

 

foto di Carlotta Anguilano

Mattia Macrì

Creativo. Cant-Autore. Storyteller. Neurodivergente. Mi esprimo in musica da quando l'ho scoperta, ma da prima scrivo storie. Amo qualsiasi tipologia di performance artistica e i meccanismi della mente umana. Il motivo per il quale scelsi di studiare Chimica Industriale spesso ancora mi sfugge.

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