Mentre Los Angeles Brucia – undicesimo album da solista del rapper di Senigallia, uscito il 20 giugno per Epic Records – è l’ennesima conferma della necessaria presenza sulla scena di Fabri Fibra, che mostra ogni sfaccettatura del proprio rap tra presente, passato, realtà esterna e mondo interiore
Mentre Los Angeles Brucia è un altro album generato dall’osservazione critica, lucida e senza filtri che ha caratterizzato tutta la carriera del rapper di Senigallia. Fabri Fibra è tornato. Ma c’è veramente bisogno di dirlo? Ha senso stupirsi del fatto che a quasi cinquant’anni abbia ancora qualcosa da dire?
In realtà, il vero ritorno è stato Caos (2022), primo album dell’era post Universal, uscito con Epic Records (di casa Sony Music) cinque anni dopo Fenomeno. Infatti, Mentre Los Angeles Brucia non è un ritorno, ma una conferma – se ce ne fosse bisogno – che Fabri Fibra è ancora in gioco, con la necessità vitale di scrivere e di cantare dal vivo. In questo album c’è tutto Fibra: i brani che strizzano l’occhio alla radio – con featuring più o meno riusciti –, la rabbia, la critica sociale e quella al mercato discografico, il trauma famigliare, la necessità del rap. Ma la vera forza dell’album sta nelle tracce maggiormente introspettive e profonde, che colpiscono più forte delle sue migliori punchline.
Anche qui, come in Caos, ritroviamo subito il cantautorato italiano, con il campionamento de L’Avvelenata di Guccini nella prima traccia. La disillusione del cantautore modenese è la stessa di cui Fibra ha fatto ampia esperienza, in un ambiente guidato dalle logiche di mercato, che porta a fare e volere sempre di più. Il rapper critica la logica del mondo discografico, perfettamente consapevole di farne parte, come sentiamo anche dalle rime di Karma Ok.
Vivo utilizza il campionamento dell’omonima canzone di Andrea Laszlo De Simone, mentre Tutto Andrà Bene racconta di Anna e Marco. Non si tratta dell’innocente storia d’amore di Lucio Dalla, ma di due adolescenti vittime di revenge porn e bullismo. Una storia di sofferenza e isolamento, dal finale tragico, che viene raccontata con la comprensione di un adulto e l’apprensione di un amico.
Le collaborazioni più riuscite sono Che Gusto C’è con Tredici Pietro e Milano Baby con Joan Thiele: voci giovani che portano freschezza e melodie da canticchiare, che risuonano in testa giorni dopo il primo ascolto.
Il primo è il singolo ritmato e incalzante che ha anticipato il disco insieme a Stupidi feat. Nerissima Serpe e Papa V. Quella con Joan Thiele è invece un’orecchiabile canzone d’amore milanese, con una produzione che ci fa galleggiare nel quadro creato dai due interpreti. La traccia insieme a Noyz Narcos (Sbang) è più cupa e diretta, tra inglesismi e accento romano, mentre risulta un incastro forzato e poco interessante quello con Gaia e Massimo Pericolo in Salsa Piccante.
I brani più d’impatto di questo undicesimo album da solista sono quelli più personali, che vengono direttamente dall’intimità dell’autore e trasmettono quell’urgenza di comunicazione che è la linfa vitale della musica rap: Mio padre e Figlio, ma anche le già citate Tutto andrà bene e Vivo. Mio padre è la canzone più cruda dell’album. Qui, Fibra si scaglia contro il genitore e si rende conto di essere «incastrato nel passato». Questo brano, tuttavia, non è un tentativo di disincastrarsi: non c’è risoluzione, non c’è pietà o perdono, ma solo uno sfogo. La volontà è quella di aprirsi e offrire al pubblico una chiave di lettura che permetta di contestualizzare il suo stile, comprendendo più a fondo la sua personalità e l’origine della sua rabbia. L’effetto è amplificato, poi, dall’ascolto del brano Figlio, che suscita un’empatia particolarmente forte se accostato a Mio padre. È una dedica toccante «al figlio che mai avrò», fatta dei consigli e dei pensieri di un padre che non ha potuto essere tale. Il disco si chiude poi con una reinterpretazione di Verso Altri Lidi degli Uomini di Mare, vecchio duo di Fibra e Lato, per la gioia dei fan più affezionati che finalmente possono ascoltarlo sulle piattaforme streaming.
Con questo album, Fabri Fibra spiega chiaramente perché dopo più di vent’anni continua a fare questo «stupido gioco del rap». Il rap è ciò che ti fa risalire quando sprofondi nell’abisso, ti fa divertire, ti permette di dire ciò che pensi. Ma soprattutto, ti fa sentire vivo.
Il rap di Fabri Fibra rimane indissolubilmente legato alla critica sociale ironica e divertente, ma questa volta in particolare vuole essere una mano tesa verso chi cerca nella musica uno specchio che rifletta le difficoltà del proprio vivere. Fibra guarda se stesso attraverso lo specchio per trovare un modo efficace di raccontare e di raccontarsi, facendo capire a chi lo ascolta che non è solo.