In occasione dell’ottantesimo anniversario dal lancio della bomba atomica statunitense sulla città giapponese, con il suo strascico di morte e terrore, celebriamo due brani cult che ne onorano al meglio il ricordo: Enola Gay degli Orchestral Manoeuvres in the Dark e Il pilota di Hiroshima dei Nomadi
Ottant’anni: detto così, in modo del tutto decontestualizzato, potrebbe sembrare un’eternità. Una vita intera, praticamente. Eppure, il genocidio perpetrato dallo stato di Israele ai danni della popolazione palestinese e i venti di guerra nucleare minacciati da più o meno scellerati leader politici internazionali ci fanno capire quanto la bomba atomica su Hiroshima – sganciata dagli Stati Uniti con il pretesto di «porre fine alla Seconda Guerra Mondiale» uccidendo centinaia di migliaia di civili – sia ancora oggi un tema quanto mai attuale e importante non solo per i giapponesi.
Per questo, nonostante sia passato quasi un secolo da quel crimine assurdo e sconsiderato, è ancora più importante non perdere l’appuntamento con il ricordo, anche attraverso la potenza evocativa e simbolica delle canzoni pop. A occuparsi di quel bombardamento nucleare ce ne sono due, in particolare, che vale la pena citare nonostante la loro evidente diversità musicale e testuale: stiamo parlando di Enola Gay degli Orchestral Manoeuvres in the Dark (meglio conosciuti come OMD) e di Il pilota di Hiroshima dei Nomadi, entrambi brani cult degli anni ottanta.
Ad accomunare questi due capolavori c’è un particolare: entrambi, infatti, si ispirano a due membri di quella missione. Il primo a Paul Warfield Tibbets Junior, l’ufficiale e aviatore dell’esercito statunitense che, nella mattina di quel maledetto 6 agosto 1945, pilotò il B29 ribattezzato con il nome di sua madre (Enola Gay, appunto) da cui sganciò l’ordigno più distruttivo mai visto sulla terra fino ad allora. Il secondo a Claude Eatherly, il maggiore incaricato di dare il “via libera” al lancio della bomba da una superfortezza volante che lo precedeva. Entrambi i pezzi affrontano in modo originale un tema esistenziale molto delicato e – purtroppo – contemporaneo, soprattutto quando si parla di guerra: quello dei risvolti interiori di chi compie azioni con un alto numero di vittime civili.
Andiamo in ordine cronologico: Enola Gay venne pubblicata dagli OMD come singolo il 26 settembre del 1980, 35 anni dopo il bombardamento atomico su Hiroshima, e successivamente inserita nel secondo album della band Organisation, uscito per la Virgin il mese successivo. Il testo scritto dal frontman e bassista Andy McCluskey, giocando con malinconica ironia sul rapporto tra Tibbets e la madre, chiede retoricamente: «Enola Gay, you should have stayed at home yesterday […] Is mother proud of Little Boy today?». Si tratta di un gioco di parole beffardo quanto raffinato: “Little Boy”, infatti, era il nome in codice dato alla bomba, ma in questo caso rappresenta anche il “bambino” che guidava l’aeroplano con il nome della madre e che non ha mai provato rimorsi per quanto fatto. Un altro verso potente è: «It’s 8:15, and that’s the time that it’s always been», un riferimento diretto all’ora precisa dell’esplosione, con gli orologi rimasti fermi a segnare quel momento per sempre.
A colpire di più è però il contrasto tra un testo estremamente serio ed evocativo a una musica da ballare, aperta dalla drum machine e successivamente trascinata da un riff elettronico irresistibile che si propaga in un tripudio di sintetizzatori che nascondono un messaggio molto potente, in grado di mettere in luce dubbi morali e riflessioni su un’azione di portata storica e mortale tanto devastante. Questo paradosso – lirico e musicale – ha trasformato il brano non solo in un’efficace denuncia contro la guerra ma, allo stesso tempo, in uno dei più famosi esempi di synth pop, capace di definire se non addirittura inaugurare un genere ispiratore di moltissime band contemporanee; un paradosso che portò Enola Gay e gli OMD a entrare nelle classifiche europee — in Italia fu addirittura numero uno nell’estate 1981 — segnando il primo grande successo internazionale del gruppo.
Uscita cinque anni più tardi, nel quarantennale del bombardamento, Il pilota di Hiroshima venne inserita all’interno di Ci penserà poi il computer, l’undicesimo lavoro in studio dei Nomadi pubblicato per la CGD. Un album che, fin dal titolo e della copertina (un disegno del frontman Augusto Daolio raffigurante i membri della band trascinati dalla corrente di un fiume in un canyon), dimostra il suo intento distopico, rivelandosi anticipatore di molte tendenze attuali. Il testo, scritto dallo stesso Daolio (anche se fu depositato con la firma del chitarrista Chris Dennis perché il cantante non era iscritto alla SIAE), affronta il tema della prospettiva interiore del protagonista, entrando nella coscienza di un aviatore che vive un inferno emotivo («Fuori nel mondo chissà dove […] Vive un uomo, vive il suo inferno. La sua bocca più non parla […] muore un uomo, muore senza il vero»).
Il ritratto è quello di un uomo duro, ma segnato dall’orrore («Il pilota di Hiroshima / Un duro alla maniera di John Wayne / Ray-Ban scuri, il lavoro è la guerra / Ma negli occhi quel bimbo sulla terra»). Queste parole vogliono mostrare il rimorso interiore di Eatherly, contraddistinto da notti insonni, silenzi e riflessioni tormentate, come confermato dai tentativi di suicidio, dai problemi psichiatrici e dalle testimonianze biografiche lasciate agli annali attraverso diversi volumi; non solo un manifesto politico, quindi, ma anche una forma di antimilitarismo che prende la strada dell’empatia individuale e del dramma psicologico. Musicalmente, il brano si ispira in chiave moderna alla grande tradizione cantautoriale italiana, con tastiere tipicamente anni Ottanta sostenute da una sezione ritmica quasi militare e dal caratteristico e inconfondibile timbro vocale di Daolio.
Le due canzoni analizzate dimostrano come la musica possa avere allo stesso tempo un impatto globale e un risvolto introspettivo, potando messaggi di riflessione storica e morale. Con Enola Gay, il contrasto tra ritmo e contenuto genera un effetto memorabile: la bomba, presentata attraverso il linguaggio del pop, crea un cortocircuito emotivo che resta impresso. Il pilota di Hiroshima, invece, sceglie una strada più sobria e profonda sul piano emotivo, evidenziando il rimorso, il senso di colpa e la guerra raccontata da chi l’ha messa in atto. Sebbene musicalmente meno appariscente, quest’ultimo brano ha un testo lirico poderoso e poetico nella descrizione dell’orrore interiore. Entrambe le canzoni, in modi diversi, restano testimonianze fondamentali di come la musica degli anni Ottanta abbia saputo affrontare il tema delle armi nucleari con sensibilità e profondità morale.

