In trasferta, ma sempre sull’asse della riva del Po. Ieri sera, ospitando i romagnoli Cosmetic e i torinesi Cruiserweight Champion, la rassegna di concerti Cardine ha accolto un’anima emo pulsante, appassionata e fragile
Torino, a volte, riesce ancora a creare delle connessioni. Come se esistesse una sorta di linea immaginaria, dove la musica è il collegamento e gli spazi affini sono i nodi della rete, che trova nella sponda cittadina del suo fiume il luogo dove concretizzare intenti comuni. Non è una storia recente: i Murazzi del Po sono stati, infatti, il laboratorio urbano dove tante realtà underground torinesi sono nate e cresciute. Però, a volte, è necessario riscoprire questa spinta anche nel presente, cancellando la retorica passatista e posizionandoci nell’oggi per rendersi conto che quella forza può ripetersi. Ne è un esempio la rassegna di concerti Cardine, nata nella sala remi dell’Imbarchino e che da qualche tempo ha risalito il fiume di qualche metro arrivando alle arcate del Magazzino sul Po.
Ieri sera, si è percepita questa volontà di restituire alla comunità musicale cittadina un’istantanea della contemporaneità (nello specifico quella emo) creando un ponte tra realtà consolidate e nuova scena, tra i confini cittadini e l’esterno. A far da protagonisti della serata sono stati, in ordine di apparizione sul palco, i Cruiserweight Champion – band locale che piano piano sta imponendosi non solo all’interno del territorio – e i veterani Cosmetic, forti della pubblicazione recentissima del loro ultimo album Normale. Un affiancamento che comunica una direzione artistica precisa, a fuoco e coerente nelle sue scelte: proporre realtà affini che attirano un pubblico appassionato, con un senso di comunità che raramente si trova altrove.
I primi hanno scaldato il pubblico di Magazzino sul Po con un suono a metà strada tra nostalgia e tendenze contemporanee dell’emo. Un sogno febbrile che accelera e rallenta di continuo, passando da ritmi concitati a dilatazioni, comunicando un’urgenza di mostrare il proprio percorso personale, di far capire le suggestioni che hanno influito sulla maturità artistica. Nello specifico, i Cruiserwieght Champion incarnano un certo spirito tipicamente italiano e tipicamente gen z: le ore passate davanti alla televisione da bambini, influenzati dalla programmazione di anime e wrestling di Mediaset, diventano lo spazio dove produrre un suono che parte da una tradizione molto riconoscibile e che viene tinta da una nota di contesto molto specifica. Ibridare l’emo con la memetica, con un’anima da shitposter e da nerd che è perfettamente in linea con quello che viene restituito a livello sonoro. A tal proposito va segnalata la sgangheratissima e ultra improvvisata (e per questo efficace) cover di Sere Nere di Tiziano Ferro, emblema di un certo influsso di cultura popolare.
Dopo la scorpacciata di spezzoni di Dragon Ball proiettati durante il concerto di apertura, è stata quindi la volta della portata principale. Il concerto che i Cosmetic hanno messo in piedi ha proseguito la strada tracciata durante il warm up. Un percorso all’insegna della fragilità come motore creativo, dove l’intimismo e l’emotività sono i punti di partenza da cui sviluppare un intreccio di distorsioni, progressioni e crescendo che si prendono lo spazio che meritano e che, perché no, arrivano anche a esplodere. Le canzoni sono state suonate una in fila all’altra, lasciando pochissimo spazio ai fronzoli e ai convenevoli per prediligere la comunicazione musicale della band, perché è innegabile la quantità di cose che quest’ultima ha da dire. Tra post hardcore velato e una fortissima anima shoegaze, il gruppo romagnolo ha ancora una volta dimostrato quanta passione, costanza e desiderio di comunicarsi c’è da sempre nei suoi brani, proseguendo la propria carriera ventennale con un nuovo pregevole tassello, formato da canzoni nuove che si mescolano con i grandi classici in modo organico e naturale.
Nell’abbraccio collettivo che ci rende più orgogliosi di essere fragili, si conclude la serata. Si esce dal concerto con la sensazione che quel cameratismo di fondo, del punk e dei suoi sottogeneri, esiste e resiste al passaggio del tempo. E ritrovarlo ieri sera in spazi che hanno contribuito alla crescita – e alla recente rinascita – di una comunità musicale è la prova di quanto a Torino certe situazioni troveranno sempre spazio. Ci saranno sempre dei kids sotto palco pronti a spaccarsi le ossa, ci sarà sempre una scena che si supporta a vicenda, accogliendo le novità e sostenendo le band.