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Choke enough: Oklou tra intimismo e noia post-digitale

svg11 February 2025AlbumRecensioniLuca Parri

Nel suo album di debutto, a cinque anni dal’EP Galore, Oklou investiga sulle tensioni della vita post-digitale: nello spazio di incontro tra minimalismo e massimalismo, alla ricerca delle piccole cose in quelle che sembrano troppo grandi


«Ammettere questa cosa mi intristisce, poiché è stata la mia ispirazione da quando sono stata capace di andare online in autonomia, ma internet ha iniziato ad annoiarmi. Il mio algoritmo di YouTube fa così schifo che non è più capace di scoprire cose nuove. Semplicemente non è più YouTube. E non è solo YouTube, l’energia che ricevo da X è terribile. Su Instagram è lo stesso. Sono annoiata» 

Questa dichiarazione-confessione della musicista francese Oklou al magazine britannico Crack, è estremamente utile per capire il suo percorso artistico e soprattutto lo stato delle cose nel momento presente, con l’uscita del suo album Choke Enough. Perché Marylou Maniel, vero nome della cantante, arriva da un percorso decennale che ha sempre avuto a che fare con il digitale, con l’online e la presenza delle persone negli spazi virtuali. Non è un caso, infatti, che spesso il suo nome d’arte sia associato al grande cappello dell’hyperpop, non solo per fascinazioni e similitudini sonore ma anche e soprattutto per collaborazioni con Bladee, A.G. CookDanny L. HarleCaroline Polachek.

Una certa disillusione verso il digitale, d’altronde, è in una discreta misura il motivo stesso per cui quel movimento musicale è nato in tutte le sue varie declinazioni, distorsioni e trasformismi. Nei lavori che gravitano intorno a questi contesti c’è sempre stato questo impulso critico, a metà strada tra un bisogno di fuggire dalle dinamiche dell’online e l’ammissione di derivare quei linguaggi nella propria arte. Per tanto non stupisce che Oklou stessa abbia espresso il pensiero con cui si apre questo articolo, e anzi può essere una chiave di lettura determinante per il suo Choke Enough.

Il disco è infatti un continuo gioco di tensioni, di incongruenze e incoerenze che hanno grande senso di esistere perché fanno parte di quello spazio tra virtuale e reale che suoni come il suo si sono sempre mossi. Ascoltandolo ci si immerge in un freddo bagno acquoso, sospeso, che è contemporaneamente sterile (come il digitale) ma anche vivo e vissuto. Dalla noia verso i social media, Oklou riscopre e ci fa riscoprire la felicità trovata nel minuscolo, mentre il suono si concede spazi completamente agli antipodi. Anziché giocare su un solo campo, quindi, Maniel preferisce puntare sul contrasto e sul conflitto per comunicare i suoi messaggi e farli attraversare dalla sua musica. L’intimismo urgente della title track, che per la sua autrice vuole evocare la sensazione di trovarsi in un bagno a una festa, funziona come esempio lampante di tutto il pacchetto. Isolamento in un contesto sociale, annullamento e ritrovamento del sé e delle altre persone.

Musica che, in Choke Enough, si dipana principalmente attraverso un mezzo che ha al suo interno un sentimento esplicito della sua autrice. L’uso massiccio e dilatato dei sintetizzatori fa intuire che, oltre a una necessità tematica che ben si lega alle cose che Oklou ha da dire, l’artista ha bisogno di comunicare con i suoi strumenti per trasmettere a chi ascolta l’amore che prova per essi. Maniel imbastisce una sorta di dialogo con ciò che suona, gli lascia spazio per crescere e modificarsi quasi senza intervenire ma anzi lasciandosi guidare dall’imprevedibilità degli arpeggiatori e delle onde. Le tracce dell’album si districano tra il pop elettronico e la trance più lisergica (senza però mai strafare sul lato danzereccio), con una spinta digitale decisa che entra in contrasto con le incursioni acustiche che puntellano gli arrangiamenti.

Altra parte importante del disco, anch’essa perfettamente in linea con quello che Choke Enough rappresenta, è composta dalle tantissime collaborazioni che Oklou ha scelto di inserire nell’album. I già citati Bladee, A.G. Cook e Danny L. Harle insieme all’artista americana Underscores aggiungono ancora più senso e credibilità alla narrazione che pervade l’album: tra necessità di disconnettersi ed estetica (ma anche etica) y2k, alla ricerca di un senso nell’era post-digitale.

Per concludere: Choke Enough è un disco incredibilmente utile per comprendere lo stato di salute di un movimento musicale che ormai diamo fin troppo per scontato nel contemporaneo. Perché forse è proprio per l’amore per le connessioni, anche quelle che si creano su internet, che ha senso guardarsi dentro.

Luca Parri

33 anni tra design, giochi, fumetti, cinema e musica con sempre le stesse prerogative: amore per l'underground, approccio geek, morale punk e gusti snob.

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