I sobborghi della capitale hanno incontrato quelli sabaudi al Magazzino sul Po in occasione dei dieci anni di Indiana Festival, tra poeti maledetti, cattivi maestri ed eroi di periferia. In apertura, i paladini locali noise rock Le Schiene di Schiele
«Remoria non è Roma. Remoria è l’inumano e lo scarto. Remoria è il fuori e l’escremento. Remoria è il non tempo e il cerchio»: se dovessimo descrivere la musica dei Bobby Joe Long’s Friendship Party in una frase, non potrebbero esserci parole migliori di quelle utilizzate da Valerio Mattioli per raccontare la parte sommersa della Città Eterna nel proprio saggio Remoria. La città invertita (uscito per Minimum Fax nel 2019). La band capitolina è stata protagonista – insieme a Le Schiene di Schiele – al Magazzino sul Po di Torino della serata finale di Indiana Festival. La kermesse, organizzata da Indiependence, ha celebrato i suoi dieci anni di resistenza creativa con una due-giorni speciale aperta venerdì dai live di 1 44 9 8 e dei Bolena.
Alcuni hanno definito il genere dei Bobby Joe Long’s Friendship Party coatto wave per l’inflessione romanesca del cantato parlato del frontman Henry Bowers (sì, come uno dei personaggi cattivi di It), ma noi preferiamo ribattezzarlo borgata wave: usiamo questo neologismo musicale perché, oltre a essere meno etichettante in senso negativo, riassume meglio un immaginario originalissimo capace di unire le migliori wave anni ’80 (dal post punk al synth pop a tinte dark, passando per l’italo disco) alla cultura romana underground popolare, con i personaggi e luoghi più o meno leggendari che popolano lo scenario romano dentro e – soprattutto – fuori il Grande Raccordo Anulare tra dramma e commedia.
Partendo da queste premesse, dopo ben nove anni di carriera e già quattro album all’attivo, l’Oscura Combo Romana (così come ama definirsi) è riuscita a far incontrare i sobborghi della capitale con quelli sabaudi, tra politici, poeti maledetti, cattivi maestri, tossici ed eroi di periferia. Una vera e propria febbre in grado di contagiare il pubblico presente che, compatto ma rumoroso e caciarone quanto bastava, ha trasformato il Magazzino sul Po in una piccola colonia romana in terra piemontese, con molti aficionados pronti a pogare all’aumentare dei beat e a cantare a squarciagola le frasi cult dei brani come «Sì, pe’ capisse, quest’oggi è sadness» (Mortacciloro); c’è da dire (cit.) che la location si è prestata alla perfezione allo scopo.
La band si è presentata sul palco dello storico locale dei Murazzi in versione ridotta: un trio composto dal già citato Bowers alla voce, Raffaele Ventura Costa al basso (rigorosamente suonato con le dita) e Lorenzo Amoruso alla chitarra, accompagnati da una base registrata. Nonostante questo dettaglio, la resa live non ne ha risentito e, in quasi un’ora e mezza decisamente tirata, i presenti hanno potuto apprezzare una sintesi ideale del repertorio sonoro e stilistico del gruppo. Nulla da dire nemmeno sulla scaletta, capace di pescare a piene mani da tutta la già ricca discografia spaziando dal primo album Roma Est fino al più recente Aoh!, con pezzi cult come Chi ha ucciso Laura Palmer?, Magno, bevo e tifo Roma e Rebibbia, più una manciata di singoli tra cui la cover dei Righeira Luciano Serra Pilota.
Nella loro performance dal vivo, i Bobby Joe Long’s Friendship Party hanno unito riferimenti culturali precisi a un’identità forte, non solo a livello performativo, ma anche a livello estetico. Questa attitudine è stata ben rappresentata dai movimenti e dalle posture di Bowers e compagni, abbinate ad abbigliamento e capigliature peculiari come il codino, il baffetto e la giacca di pelle a due code del frontman, la cresta punk del bassista Raffaele Ventura Costa e la camicia bianca sbottonata del chitarrista Lorenzo Amoruso.
La serata è stata aperta alla grande da un fiore all’occhiello della nuova scena alternativa torinese: stiamo parlando di Le Schiene di Schiele, capaci di infiammare l’atmosfera con oltre quarantacinque minuti di chitarra battente, basso martellante, batteria incessante e testi taglienti cantati al massimo dalla potente voce di Francesco La Greca, altro animale da palcoscenico mai domo su un palco infuocato. Tra critiche feroci e ironiche alla società contemporanea, una manciata di inediti e una fugace cover di La Rondine di Mango, i paladini nostrani del noise rock hanno dimostrato tutte le proprie potenzialità aggiungendo freschezza ad una sfrontatezza musicale e testuale che ha ricordato Il Teatro degli Orrori prima maniera (quella di Dell’impero delle tenebre, per intenderci).
In conclusione, siamo convinti che partecipare a un concerto dei Bobby Joe Long’s Friendship Party non significhi soltanto vivere un semplice live, ma una vera e propria esperienza. Per chi non conosce la band, alcuni testi possono sembrare eccessivamente criptici o carichi di riferimenti, con una dimensione teatrale per certi versi troppo caratterizzata. Crediamo, però, che lo show torinese abbia mostrato tutti gli aspetti più importanti di un progetto che può crescere, anche come pubblico, raccontando miserie e nobiltà della Roma contemporanea. A restare, però, è la curiosità di vederli full band, magari con i synth… daje!

