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Across the Universe: i Beatles sono un sentimento

L’opera psichedelica e surreale di Julie Taymor è un unicum nella storia del musical moderno per l’uso originale dell’universo sonoro dei Beatles, le cui canzoni non sono semplice colonna sonora ma strumento narrativo. Nomi, luoghi, titoli e situazioni del film sfruttano un vocabolario musicale così potente e ben radicato nell’immaginario collettivo da coinvolgere in un viaggio assoluto nell’anima dei Fab Four


Lo sanno anche i muri che i Beatles sono la band più influente della storia della musica contemporanea. È un dato di fatto. A confermarlo è non solo il tempo, ma anche un lascito artistico e culturale senza eguali. Musicisti, cantautori, artisti anche di tutt’altro genere e/o attitudine dichiarano di ispirarsi ai Fab Four, in un modo o nell’altro. Perché la loro è una musica che ormai ha oltrepassato qualunque logica. Inutile perdersi nell’ennesimo discorso sull’immaginario collettivo della british invasion e tutto il resto… insomma, sappiamo che c’è un prima e un dopo i Beatles. E ovviamente anche il cinema – così come qualunque altra forma d’arte – ne ha subito l’influenza. Un’influenza che ancora non accenna ad affievolirsi, sappiamo infatti che nel 2028 Sam Mendes se ne uscirà con ben quattro lungometraggi, uno per membro.

Ci sono film in cui la musica non si limita ad accompagnare le immagini, ma le genera, le guida. È il caso di un piccolo cult: Across the Universe di Julie Taymor (2007). È il 1966 e un giovane operaio navale di Liverpool, dopo essere arrivato negli Stati Uniti in cerca del padre, si innamora di una ragazza coinvolta nelle proteste che animano il paese. La loro storia d’amore si intreccerà con le turbolenze culturali e sociali dell’epoca. Cosa c’entrano i Beatles con una trama così semplice e forse banale? Tutto.

In questo film, l’anima dei Fab Four vive e si trasforma in struttura narrativa e tessuto emotivo. Il titolo è un esplicito riferimento a uno dei brani più significativi di Let It Be, ultimo album della band uscito nel 1970. Il protagonista si chiama Jude, da Hey Jude; la ragazza Lucy che, manco a dirlo, è ovviamente Lucy in the Sky with Diamonds. E così ognuno dei personaggi del film ha un nome che si ricollega a una specifica canzone della band inglese.

Da questo punto di vista, il film è una sorta di caccia alla citazione, in cui ogni aspetto legato al proseguimento della trama ha a che fare con la musica e la biografia artistica dei The Beatles. Elencarle sarebbe inutile. Basti però sapere che i riferimenti alla band di Liverpool – appunto – non si limitano a questo. L’anima di certi brani vive anche in piccoli o grandi gesti compiuti dai personaggi. Un esempio innocuo per capire il concetto è il momento in cui uno dei protagonisti, Prudence (da Dear Prudence), fa il suo ingresso in scena entrando dalla finestra di un bagno: un esplicito quanto per certi versi sottile richiamo a She Came In Through the Bathroom Window, uno dei brani contenuti in Abbey Road (1969).

Anche solo da questo esempio capiamo che siamo di fronte a un film che non si limita a spiaccicare qualche citazione alle hit più celebri e global-popolari. Across the Universe è un musical decisamente atipico, in cui decine e decine di brani dei Beatles – arrangiati per l’occasione dal compositore Elliott Goldenthal – vengono interpretati da svariati personaggi. Non si tratta di inserti musicali posizionati nel film ai fini di accompagnamento, ma di veri e propri motori narrativi volti, in certi casi, a sostituire un dialogo o un monologo, come a dimostrare che certa musica può davvero avere la forza di essere parte attiva della vita di una persona, o addirittura rappresentarne la vita stessa.

La regia visionaria di Julie Taymor si serve di colori saturi, coreografie oniriche e immagini simboliche, inscenando un’atmosfera in cui l’emozione viene messa in primo piano. Certo, senza la musica non si andrebbe da nessuna parte e sono infatti proprio le canzoni che, intrecciandosi con l’estetica cinematografica, contribuiscono attivamente alla creazione di un’esperienza immersiva e totalizzante, dolce ed energica come la prima metà della carriera dei Beatles, psichedelica e caleidoscopica come la seconda.

Across the Universe è un viaggio ai limiti dell’astratto che sfrutta – a volte raffinatamente, a volte sfacciatamente – l’iconografia della band di Liverpool. Guardando il film, e perdendosi nelle sue metafore visive, risulta facile immaginare il significato dei numerosi dettagli più o meno espliciti volti alla creazione di un vero e proprio vocabolario beatlesiano: una sorta di feticismo per i fan accaniti della band, senza che ciò risulti escludente per gli altri. Tutt’altro, sarà impossibile non incuriosirsi di fronte a una discografia così nota quanto non del tutto compresa appieno come quella dei Beatles. A questo punto, la storia di Jude e Lucy e dei numerosi personaggi che gravitano attorno alle loro vicissitudini nel pieno della rivoluzione sembra passare in secondo piano. Ed è davvero così. È un patto che lo spettatore deve fare con la regista, perché questa volta la scelta è più che coerente. La trama è infatti un pretesto al servizio di un mondo fantastico, chiamato a dichiarare esplicitamente un concetto tanto semplice quanto efficace: music is the answer.

Marco Nassisi

Per me scrivere di musica vuol dire trovare una scusa per ascoltarne tanta, scoprirne di nuova e fare un po' d'ordine nella testa.

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