In una serata fatta di luci rosse, diabolici synth e cassa dritta, Whitemary sale sul palco dell’Hiroshima per celebrare un rito collettivo che abbraccia forza e malinconia sulle note di New Bianchini, il nuovo album potente come una scarica elettrica
Il pubblico stasera è tutto per lei, Biancamaria Scoccia aka Whitemary, che porta nella cornice cult torinese dell’Hiroshima Mon Amour New Bianchini (42 Records), l’ultimo gioiello elettronico dell’artista un-po’-abruzzese-un-po’-romana, acclamato dalla critica come uno degli album italiani migliori del 2024. Pubblicato il 29 novembre e celebrato con un doppio party al Kinotto – storico baretto di Bolognina – e al Bar Volo di Torpignattara a Roma, New Bianchini consacra ufficialmente Whitemary a diavolessa dell’elettronica, rappresentando una nuova tappa nel percorso rapido e verticale dell’artista iniziato nel 2019 con Alter Boy!!! e proseguito nel 2022 con il proiettile elettronico Radio Whitemary.
Nonostante il rosso vinilico e laccato della copertina, New Bianchini è un disco piuttosto scuro, liquido, onirico e materico allo stesso tempo, in cui la trama sonora diventa un supporto ipnotico a testi duri e intensamente viscerali. Come dichiarato dalla stessa artista in una precedente intervista, questa volta il percorso creativo è partito dalle parole, parole urgenti che, come un flusso di coscienza, Whitemary proietta fuori da sé lanciandole nel suo universo musicale e rivestendole di un beat plastico e dark. Il risultato è un lavoro più estremo e spigoloso di Radio Whitemary e forse proprio per questo molto più intrigante. L’album è stato presentato in anteprima su prestigiosi palchi italiani e da subito ha richiamato grande attenzione non solo per la sua capacità di costruire un tappeto sonoro a cassa dritta mescolando techno e french touch, ma anche per il fatto di essere in italiano: Biancamaria potrebbe strizzare l’occhio al pubblico internazionale scegliendo l’inglese e invece ha raccolto la sfida – vincente – dell’elettronica in italiano, con lo stesso piglio fresco e sicuro che troviamo nella sua musica.
22.30, eccola: Whitemary, camicia bianca e pantaloncini rossi. Le luci, anche queste rosse, profilano un cappellino e un paio di corna, oggetti di scena e maschera che, come nella migliore tradizione teatrale, consentono all’artista, per lo spazio della performance, di trasformarsi in altro da sé, di dire l’indicibile e di trasportare il pubblico in un’altra dimensione. La struttura del palco è triangolare, synth al centro e ai lati due batterie elettroniche rivolte l’una verso l’altra, quasi a creare una sorta di bolla acustica densa e chiusa al cui centro c’è lei, Whitemary. Parte il canto carezzevole di Oh! ma dai, levigato dal background jazz dell’artista che emerge non solo nelle parentesi più melodiche – come, appunto, l’intro di questo pezzo – ma anche nell’approccio estremamente metodico che l’artista adotta in ogni fase della produzione. Ogni aspetto di questo disco è confezionato con dedizione artigianale, dal mixaggio al fraseggio ritmico, risultando in un prodotto estremamente raffinato e compatto.
I pezzi scivolano l’uno nell’altro fluidamente grazie a intro e outro modulabili: in una cornice di visual acidi e rossi il pubblico balla sulle note di Abisso e Sembra che tutto, quest’ultimo dall’album Radio Whitemary. BPM alti e ritmi accelerati scaldano rapidamente l’atmosfera; «sono emozionatissima di essere qui», prima volta da performer sul palco dell’Hiroshima. Parte una serie di beat ipnotici, visual liquidi che creano un’atmosfera quasi sottomarina: è il momento del broken beat di Denso, in cui la dimensione immersiva del live esce prepotentemente. I synth ossessivi sostengono l’atmosfera implosiva del testo, un sentimento che è un agglomerato di energia che però «esploderà mai mai mai», come una supernova che collassa su sé stessa.
Seguono i bassi violenti di Mi nascondo, «musica densa di sentimenti faticosissimi» ma necessari: i testi sono come un singhiozzo, una confessione che parla di corpi che palpitano, liquidi che fluiscono, acqua, fango, rabbia, tristezza e rinascita. Whitemary interagisce molto con il pubblico, lo prende per mano e lo abbraccia, «spero che vi stia facendo elaborare delle cose», e introduce uno dei momenti nodali della serata, un pezzo «rigido e rancoroso come i miei synth, non un sassolino nella scarpa ma un intero albero», Ditedime. Lo ammetto, è il mio pezzo preferito, ha una trama acid che mi ha riportato alle serate techno che frequentavo da ragazzina – non scrivo da giovane solo perché mi farebbe sentire vecchissima, ma sì, insomma, ci siamo capit*– chiudo gli occhi, time machine, e sono lì: i corridoi bui e appiccicosi di una discoteca, i bassi che martellano, il sudore di gente sconosciuta addosso. In questo brano si percepiscono forti gli influssi psy-trance nella formazione musicale dell’artista.
I synth sono modulari e stratificati, costruiscono geometrie che si formano per addizione – di nuovo, la formazione jazz – su beat techno martellanti (Un’esercitazione). La band chiude con la house di Mi disp, «un pezzo difficile» e dispari che sfuma senza terminare davvero, è solo un intermezzo che apre a un finale energico e pop. Biancamaria, Davide e Sergio – i batteristi – lasciano il palco buio illuminato solo da visual minimal e azzurri un po’ old school per poi tornare poco dopo con Oggi va così, brano fondamentale che – come dichiarato dalla stessa artista – ha impresso un po’ la direzione all’intero disco; e con le note pop di Credo che tra un po’, dall’album Radio Whitemary. Whitemary ingaggia il pubblico in un grido collettivo che prelude alla parentesi tribal e fisica di Numeri e basta: il mood è da underground clubbing: le luci rosse scolpiscono il palco e sulla pista si balla, o meglio, come dice Biancamaria, «balletti che scrollano di dosso la malinconia».
«Questo finale lo butterei in caciara» e noi non chiediamo di meglio: con Ti dirò, da Alter boy!!!, Whitemary saluta il pubblico: «vi dirò che sono contenta». E lo siamo anche noi, perché è stato un live terapeutico, massiccio, catartico e collettivo. Cassa dritta con il cuore che batte.