C’è un’urgenza fisica e spirituale nel sound di Mountain Disco, primo album dei Cavolo Nero, formazione di Utrecht che trasforma la dancefloor in un paesaggio e il groove in una forma di meditazione collettiva. Il disco segna un passo deciso nella definizione di un linguaggio ormai riconoscibile: solare, ipnotico e profondamente corporeo
I Cavolo Nero sono un ensemble che ha fatto del groove il proprio linguaggio principale. Nati dall’amore per l’afrobeat e per la musica costruita intorno al ritmo, il giovane progetto olandese nel loro album di debutto full-length, prodotto presso l’Epic Rainbow Unicorn Studio, amplia il proprio universo sonoro con fiati, chitarre psichedeliche, pulsazioni disco-funk e una spiccata attitudine da collettivo live. In Mountain Disco, i Cavolo Nero — formati da Jelle Crooijmans, Chris Walthaus, Daan van de Ven, Daniel Hooglandt, Omar Berganovic e Jens Dortmans — si muovono con sicurezza su un terreno già tracciato da gruppi come Khruangbin, Nu Genea e Jungle By Night. Dopo due EP che ne avevano già rivelato la vitalità, l’album suona come una sintesi di esperienze e influenze, un dialogo tra continenti e generi, dove la sezione ritmica — tra afrobeat e groove belli sostenuti — richiama immediatamente l’attenzione del corpo.
Ad aprire Mountain Disco è Agar, traccia che instaura immediatamente un’atmosfera disco-funk vibrante e seducente, trascinando l’ascoltatore in un viaggio ritmico su territori esotici. Il basso, potente e pervasivo, funge da fondamento inamovibile, mentre sopra di esso si dipanano intrecci sonori che spaziano da sonorità lontane e straniere a echi dub-reggae e a un groove ipnotico che permane costante. Ispirata alle misteriose montagne dell’Ahaggar, nel deserto del Sahara, e alla leggenda di Tin Hinan, la “Regina dell’Ahaggar”, la traccia fonde memoria mitica e pulsione fisica, offrendo al contempo un assaggio del debutto della band e anticipando l’energia trascinante che pervaderà l’intero album. Dance of the Scorpion si apre con un vortice ritmico, trascinando l’ascoltatore in un continuum di groove che invita a muoversi su pattern esotici e coinvolgenti. La traccia gioca sapientemente tra tensione e rilascio: momenti di energia esplosiva lasciano spazio a passaggi sospesi e meditativi, contribuendo a quell’effetto ipnotico e avvolgente.

Pur essendo noti per un approccio quasi interamente strumentale, in Say What You Want i Cavolo Nero invitano apertamente l’ascoltatore a liberare corpo e voce, scandendo mantra ripetitivi come «Say What Your Want», «Don’t Be Afraid» e «Move Up Again». Qui, dal vivo si balla; anche i più riottosi ballano, anche quelli che non lo fanno mai ballano e vengono trascinati dal flusso ritmico. Mauna Kea, già pubblicato come singolo nel 2023 e anticipato nell’album da un breve interlude omonimo, caratterizzato da voce delicata e chitarra acustica, rappresenta un punto di fusione tra l’energia tribale della band e un’esperienza psichedelica più raffinata. Ispirato al vulcano hawaiano da cui prende nome, il brano dipinge immagini di paesaggi lunari e rituali ancestrali. A impreziosire la composizione, poi, interviene una keyboard, che conferisce profondità e risonanza all’intero arrangiamento.
Mountain Disco si dispiega come un percorso immersivo, quasi fosse un concept album, in cui ogni traccia sembra costruire un locale immaginario dai colori afro, accesi, coinvolgenti. Su questo dancefloor sonoro si intrecciano momenti funk, reggae, disco e soul che si adagiano su un tappeto afrobeat, sorretto da una sezione ritmica irresistibile. El Mundo ne è l’esempio emblematico: il brano, dal fascino contagioso, rimanda immediatamente all’idea del gruppo che suona in uno spazio che oramai è divenuto un caleidoscopio di luci e colori, dove arrangiamenti raffinati, ritornelli quasi infantili e mantra ripetitivi si fondono con pulsanti ritmiche e filigrane chitarristiche.
Con Durian, i Cavolo Nero sembrano dialogare idealmente con People Everywhere (Still Alive) dei Khruangbin, riproponendo un approccio sofisticato alla psichedelia strumentale, dove i temi melodici scorrono fluidi e l’atmosfera generale resta insieme rilassata e intrigante. Chiude 14 Agege Motor Road, traccia che riecheggia l’energia travolgente di Agar, proiettandola però in un contesto più urbano e percussivo. L’atmosfera rimane sempre vibrante e festosa, con i musicisti impegnati in un dialogo continuo tra fraseggi e sovrapposizioni strumentali, conferendo al brano una dinamica concreta che chiude l’album con slancio e precisione.
Mountain Disco, nell’insieme, ha un sapore vintage e sognante, come un classico psych-funk riscoperto da un vinile dimenticato. È il biglietto d’ingresso di una band che sembra già avere un’identità chiara, ma che è ancora lontana dai riflettori che meriterebbe. La pista è aperta: ora tocca agli altri raggiungerli.

