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Dungeon Synth: un viaggio tra black metal, fantasy, meme e cripte digitali

Nato dall’oscurità del black metal per combattere i propri draghi interiori a suon di tastiere vintage e filosofia DIY, il Dungeon Synth è magia, fantasy, lo-fi e resistenza


Esiste una, anzi, ben più d’una generazione cresciuta leggendo Tolkien, giocando a Diablo e Baldur’s Gate, divorando i film fantasy anni ’80, sbavando sulle copertine di Heavy Metal o Metal Hurlant, dipingendo miniature di orchi, nani e guerrieri in armatura e lanciando d20 con le mani tremanti. Per tutti loro e per chi ha sempre sognato castelli in rovina al posto di grattacieli illuminati e boschi oscuri al posto di caotiche metropoli, esiste un genere perfetto. Parliamo del dungeon synth: un genere nato negli anni ’90 da musicisti black metal che, stanchi di bestemmiare nel bosco col corpse paint e un considerevole tonnellaggio di borchie e ferraglia varia, hanno cominciato a comporre vere e proprie OST per avventure fantasy immaginarie, spesso da soli, in camerette buie, con solo un synth Casio e qualche poster con le opere di Frank Frazetta alle spalle.

Come accennato, il dungeon synth ha radici salde nel black metal norvegese e nel dark ambient più rituale. I pionieri di questo genere sono artisti come Mortiis (ex bassista degli Emperor), con le sue trilogie sinfoniche e ambientali; il discutibilissimo Burzum, che direttamente dalla sua cella ha realizzato album come Hliðskjálf e Dauði Baldrs, gettando le basi per la componente più oscura e cupa di questo genere musicale; e band come i Summoning, che negli anni hanno dato vita ad una vera e propria colonna sonora alternativa alle opere di Tolkien. In quegli anni, il dungeon synth era un’estensione dell’estetica black metal: solitudine, gelo, misticismo pagano e odio per la modernità.

Strumentalmente, il dungeon synth si affida quasi esclusivamente a tastiere e synth digitali, spesso con sonorità volontariamente e marcatamente retrò o degradate. I suoni orchestrali sono campionati, imperfetti, volutamente kitsch: archi, flauti, tamburi marziali, cori eterei, tutti filtrati da una produzione grezza che richiama il suono dei giochi fantasy per MS-DOS o SNES. Purtroppo, questo genere è rimasto per parecchio tempo rinchiuso nelle nicchie dei suoi pochi estimatori, andando rapidamente a perdere di attrattiva.

Negli anni 2010, però, il dungeon synth è risorto. Complice anche la diffusione su piattaforme libere come Bandcamp, Telegram, Discord e Reddit, oggi molti artisti hanno abbandonato alcune delle atmosfere cariche di odio di influenza black segnando una svolta marcatamente antifascista, utilizzando quindi il dungeon synth per creare e raccontare vere e proprie mitologie alternative, fantasy queer, storie di ribellione e resistenza. Etichette e collettivi come Cosmic Ocean, High Mage Record, Dungeons Deep o Grey Matter Productions accolgono progetti che mischiano synth medievali con tematiche transfemministe, anticapitaliste e ambientaliste, oggi vive grazie a una sterminata ed estremamente fertile galassia di progetti puramente DIY, come Hole Dweller, Ivernal, Elyvilon, Gelure, Vanishing Amulet, Questo Master, Blood Besmivelse.

L’estetica resta però centrale: artwork da manuali di D&D o Warhammer, copertine in bassa risoluzione, font gotici, riferimenti a Tolkien, Lovecraft e ai videogiochi fantasy retrò. Esiste, a dirla tutta, anche un crescente legame con la cultura rave e l’elettronica DIY e lo-fi: alcuni progetti mescolano dungeon synth con ambient techno, glitch, darkwave o noise, creando veri rituali sonori che funzionano tanto nei boschi quanto nei centri sociali occupati. È musica da danza rituale, ma anche da fuga interiore.

Oggi, il dungeon synth è in grado però di raggiungere un pubblico più vasto anche grazie ai social più diffusi come Instagram, TikTok e Tumblr, dove si mescola a meme con cavalieri stanchi, goblin ansiosi, maghi depressi e gnomi girovaghi nella boscaglia. È qui che nasce un’estetica buffa ma affettuosa, ironica e malinconica. E il dungeon synth si inserisce perfettamente in questo memeverso: è la colonna sonora di chi vive tra il burnout e la nostalgia, tra l’epica e il disagio, tra l’armatura arrugginita e il Wi-Fi debole. La cripta diventa uno spazio mentale e culturale.

Il dungeon synth è, in fondo, un rifugio: un modo per evadere da un mondo iperconnesso e stressante. È musica per chi vuole perdersi in una foresta immaginaria, camminare tra castelli abbandonati, evocare antichi dei. La sua dimensione “solitaria” riflette anche la condizione esistenziale di molti suoi autori e fruitori: introversi, nostalgici, amanti dell’analogico e del misterioso.

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