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Headlights: Alex G salta verso il mainstream, senza perdere sé stesso

Uscito per RCA Records, il decimo album di Alex Giannascoli è un’opera rifinita, pulita, ma potente nell’affermare una nuova identità. Alla sua prima esperienza con una major, Alex G propone un percorso meditativo, in cui gli headlights del titolo sembrano simboleggiare la necessità di guardarsi dentro


L’internet degli anni ’10, quello di Tumblr e dei social media in crescita, è stato il tassello cardine per una serie di affermazioni e carriere che ruotano intorno a una scena indie folk americana. Quella che ha come contesto le camere da letto, dove chi creava contemporaneamente viveva, dando luogo a una visceralità amatoriale carica di adolescenza e a una certa dimensione un po’ nerd, capace di far riconoscere in quei suoni e quei testi chi su internet vi si imbatteva. Tra i vari nomi che affollano questo piccolo ma influentissimo movimento, Alexander Giannascoli – conosciuto prima con il nome d’arte (Sandy) Alex G, poi semplicemente Alex G – è senza ombra di dubbio stato un apripista: un artista che ha dato il via a qualcosa di nuovo, ponendo delle basi per uno sviluppo successivo.

A quindici anni dal suo debutto e a dieci dal disco di culto DSU, che lo ha fatto conoscere a una cerchia via via sempre più ampia, Giannascoli fa il suo debutto con una casa discografica major – la RCA – chiudendo il sodalizio storico con Domino Records. Headlights, titolo della decima fatica in studio del cantautore, si presenta quindi al mercato quasi come un secondo debutto. Il che ha una valenza particolarmente importante nella carriera di un artista schivo come Alex G, restio ai riflettori e alle interviste. In linea con la sua indole, ci troviamo di fronte a una svolta silenziosa, che sembra parlare più di continuità che di rottura. Se si volesse leggere questo passaggio in chiave simbolica, il titolo Headlights sembra già contenere la postura assunta da Alex G in questo momento della sua carriera: collocarsi sotto una luce più forte, non più solo quella tremolante e soffusa del circuito indie. È un disco che guarda avanti ma lo fa voltandosi indietro, attraversando ciò che è stato con uno sguardo più calmo e ordinato, meno caotico, ma non per questo meno sentito.

La prima cosa che balza all’orecchio già dai primi minuti di Headlights è una prominente pulizia del suono, che non tradisce la carriera di Alex G ma anzi segna un passaggio in un certo senso dovuto. L’attitudine marcatamente lo-fi della musica che l’artista ha prodotto fino a oggi viene in questo disco usata come base da cui partire, alla quale poi aggiungere una nuova forma di chiarezza, quasi inedita, che però non snatura le caratteristiche che hanno reso Alex un autore riconoscibile e apprezzato da pubblico e critica. Il singolo di traino del disco, Afterlife, incarna questo passaggio e lo trasmette con naturalezza: i temi del testo sono un risultato del passato; gli arrangiamenti e la resa sonora una sua conseguenza. Come se ci trovassimo di fronte a una versione dad rock, nell’accezione più positiva possibile del termine, dei quindici anni precedenti: dove artigianalità e mestiere convergono e si intersecano, dove tutto è comprensibile e ben scandito in modo che si possa prendere il suo dovuto spazio.

Ovviamente non mancano – sarebbe strano il contrario – momenti di stravaganza, che però tengono conto della resa cristallina che sta alla base di Headlights. Ad esempio, la virata dream pop di Louisiana mescola riverberi ed effettistica tipica del genere con un missaggio dove ogni componente esce in modo intellegibile. Gli segue a ruota la bizzarra Bounce Boy, brano pop punk digitale che lascia desiderare un giorno possa uscire un album intero di Alex G basato su questi suoni. Tuttavia, anche queste deviazioni dalla base indie folk si inseriscono nel percorso tracciato dal disco in modo naturale e sensato, come fossero delle semplici variazioni temporanee da l tema centrale del disco. C’è poi un elemento quasi narrativo, che percorre l’intero album: Giannascoli sembra usare ogni traccia come se fosse una tappa di una lunga conversazione interiore. La voce, spesso distorta o filtrata nei lavori precedenti, si fa qui più presente, più umana, senza rinunciare del tutto a quei giochi di tono che rendono le sue canzoni riconoscibili. È una voce che si espone di più, che non ha paura di farsi capire. E in questo c’è una forma di coraggio: smettere di nascondersi dietro il rumore per comunicare con maggiore precisione.

Ed è proprio il contesto, forse, quello che rende questo decimo album di Alexander Giannascoli un lavoro di una solidità molto decisa e notabile. Il cantautore ragiona intimamente sulla fama, sul come riuscire a mantenersi autentico dopo un passaggio così rischioso e definitivo come quello di un contratto con la major. Cerca se stesso. E si trova, pur scoprendosi in un contesto nuovo, che vuole fare suo nonostante tutto: anche quando, alla fine dei conti, si ammorbidisce e si modera. Rinunciare ai momenti di sperimentazione, però, non appare come una rinuncia ma piuttosto come una decisione oculata, opportuna e coerente con ciò che ruota attorno all’artista in questo momento.

In definitiva, Headlights è un disco di affermazione ma anche di passaggio, una transizione che porta dentro di sé la crescita del suo autore e le scelte che lo hanno portato fino a qui. Alex G si dimostra un autore capace di mettersi a fuoco con lucidità e impegno: trovarsi in mezzo al buio e illuminarsi come merita, scovarsi e scoprirsi sotto una luce nuova, che tuttavia resta coerente con il percorso che lo ha portato fino a qui. Un disco che forse non ha quella carica innovativa e dirompente che contraddistinguevano i lavori passati, ma forse il motivo è che probabilmente, ora, Alex non ne ha più bisogno. Perché l’età adulta è un passaggio e a volte bisogna ripulire e raffinare. Non per sembrare più grandi, ma per riuscire finalmente a vedersi meglio.

Luca Parri

34 anni tra design, giochi, fumetti, cinema e musica con sempre le stesse prerogative: amore per l'underground, approccio geek, morale punk e gusti snob.

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