Distruggere la nostalgia con la nostalgia: la cult band Offlaga Disco Pax e il rapper-filosofo Murubutu, eccellenti emanazioni di quella grande madre musicale e politica che risponde al nome di Emilia, sul palco del Flowers Festival ci hanno fatto riscoprire radici, valori e ideologie in grado di farci sentire comunità
Usare la nostalgia per superarla e poi distruggerla con un unico potente mezzo: la poesia in musica. Pur partendo da stili, riferimenti e prospettive diverse, Offlaga Disco Pax e Murubutu hanno messo le cose in chiaro durante i rispettivi live al Flowers Festival, invitandoci a resistere a questi tempi duri e minacciosi riscoprendo radici, valori e – perché no – ideologie che ci possano far sentire comunità. Ad avvicinarli è quella grande madre musicale e politica di nome Emilia, e in particolare la città di Reggio come ombelico di un mondo orgogliosamente operaio, sociale o artistico che sia.
A giocare con la nostalgia, si sa, gli Offlaga sono sempre stati maestri (giusto per usare un’iconografia molto cara al socialismo più duro e puro) incontrastati: soprattutto perché Socialismo tascabile (prove tecniche di trasmissione) è un disco molto nostalgico nell’affermare la sconfitta brutale di generazioni vissute all’ombra di un’utopia tradita dalle false promesse del capitalismo. Viste le premesse, il rischio che la reunion – dopo quattordici anni e nel ventennale da un esordio così peculiare – potesse sfociare in un revival fine a se stesso c’era: invece, Max Collini e compagni sono bravi nel superare qualsiasi effetto lacrima (cit.); non fraintendiamoci: le emozioni ci sono state e sono state tante.
Impossibile, d’altronde, restare indifferenti davanti alle piccole grandi storie che hanno trasformato la discografia degli Offlaga Disco Pax in un oggetto di culto per tanti appassionati e tante appassionate. Impossibile non immedesimarsi nello studente delle superiori che si trova di fronte al docente Kappler di turno. Impossibile non provare un moto di rabbia estrema nell’ammettere la Sensibile vittoria per 2-0 dei liberi terroristi neri Mambro-Fioravanti. Impossibile non ritrovarsi nell’amore disperato verso una Khmer rossa dei nostri sogni. Impossibile non sentire un impeto rivoluzionario improvviso per il busto di Lenin ancora presente nella Piccola Pietroburgo – e paese natale di Orietta Berti – Cavriago. Impossibile non commuoversi per quando il Partito Comunista conquistava il settantaquattro percento e la Democrazia Cristiana il sei (in Robespierre).
Ad amalgamare il tutto c’era inevitabilmente anche lo spirito di Enrico Fontanelli, membro fondatore e bassista della band prematuramente scomparso nel 2014, ricordato con commozione più volte durante il concerto. La formazione, oltre agli originals Collini e Daniele Carretti, ha potuto però contare sul fondamentale apporto del polistrumentista Mattia Ferrarini al basso e alle elettroniche: da moderni ed esperti Kraftwerk padani, il trio ha saputo sfruttare al meglio l’universalità delle tematiche e del sound di Socialismo tascabile; l’effetto finale è stato particolarmente apprezzato da un pubblico intergenerazionale che ha ascoltato in religioso silenzio questo rito politico-artistico collettivo.
Attraverso altre atmosfere, ma con lo stesso invito alla resistenza attiva verso l’oppressione di qualsivoglia tipo, Murubutu ha dato invece sfoggio della sua innata abilità nel raccontare piccole storie di quotidiana straordinarietà in modo semplice e diretto. Ad assisterlo amorevolmente, come da tempo gli è riconosciuto, è quel marchio di fabbrica costituito dalla propria formazione filosofica e dalla volontà di affrontare argomenti attualissimi con riferimenti letterari colti ma al tempo stesso accessibili a una platea variegata. In questo modo, il suo letteraturap si trasforma in un vero e proprio genere musicale a sé stante in grado di unire l’attitudine street della cultura hip-hop e del canto rap ai registri poetici più elevati.
Sul palco del Flowers Festival, Murubutu ha confermato quanto la scelta di trasferire il bagaglio appena descritto sulle tematiche trattate dall’ultimo album La vita segreta delle città sia stata pienamente vincente. Con la consueta sicurezza e un’eleganza narrativa ormai rodata, il professore-rapper ha guidato il pubblico in un viaggio tra paesaggi urbani e questioni sociali, passando con naturalezza da Megalopoli, manifesto sonoro dell’inquietudine metropolitana, a Grecale, brano più intimo e impegnato.
La sua voce roca e profonda, in apparente contrasto con una sorprendente delicatezza interpretativa, ha dato ulteriore spessore a testi già densi di contenuti. A completare la performance, una band di sei elementi in grande forma, arricchita dalla tromba e dal flicorno di Gabriele Polimeni e dalla voce della corista Dia. In chiusura, l’atteso duetto con Dutch Nazari – protagonista dell’opening act – sulle note di Occhiali da luna, ha suggellato la serata con un feat di livello.
In definitiva, sebbene la scelta di accomunare due realtà così particolari e di nicchia come Offlaga Disco Pax e Murubutu abbia lasciato qualche dubbio in termini prettamente numerici – con un pubblico forse inferiore alle aspettative per un palco importante come quello del Flowers Festival – sul piano della qualità artistica l’esperimento ha invece colpito nel segno. Entrambi, seppur con linguaggi differenti, condividono un approccio narrativo alla musica che li rende unici nel panorama italiano: i primi con il loro spoken word carico di memoria storica, ironia e nostalgia ideologica; il secondo con il suo rap letterario, capace di trasformare le città, le persone e le emozioni in racconti che sembrano usciti da un romanzo. La serata ha rappresentato un raro momento di continuità tra due mondi apparentemente lontani ma accomunati dalla volontà di fare della parola un veicolo di senso, riflessione e poesia. Un incontro che forse meritava un pubblico più ampio, ma che ha lasciato un segno profondo in chi ha scelto di esserci.
