Dalla Lapponia al Blitz di Oslo: la storia dimenticata dei 2:20, il gruppo hardcore norvegese che univa anarchia, tritoni e social-democrazia in un sound unico, merita di essere riscoperta
L’arrivo del periodo natalizio ci rimanda sempre al classico immaginario fatto di renne dal naso rosso, strani e lunghi dolci bianchi e rossi che nessuno ha mai visto e l’inconfondibile paesaggio lappone: patria di Babbo Natale e di una stranissima alga allucinogena utilizzata dagli sciamani del luogo per amplificare le proprie esperienze spirituali.
Quello che non capita mai – o almeno non a me – è di associare la Lapponia alla Norvegia. Se, infatti, la prima è sempre rimasta una zona sconosciuta piena di case di legno, neve ed elfi sorridenti che impacchettano regali, la seconda ha profondamente segnato la mia adolescenza: da un lato facendo sì che chiamassi la mia gatta con lo stesso nome di una ragazza norvegese della quale ero profondamente innamorato senza che lei lo sapesse; dall’altro, facendomi scoprire l’esistenza dei 2:20.
Il primo e unico concerto live dei 2:20 che vidi fu nel 2006 (o era il 2005?) nella casa di Edvard Munch; sì, proprio quel Munch, autore de L’urlo. La casa del pittore norvegese era stata infatti occupata ad inizio degli anni ’90 diventando un immenso squat chiamato Blitz, all’interno del quale il bellissimo immaginario caotico degli spazi nostrani si fondeva con la mentalità scandinava. Tra i mille esempi: un bar pulitissimo con alternative vegan e che non serviva da bere ai minorenni, murales che ritraevano poliziotti intenti a scappare da una pioggia di sassi e bottiglie molotov, uno spazio per bambini e grate alle finestre per evitare che la polizia potesse tentare uno sgombero calandosi dall’alto.
Fu proprio quella sorta di Ikea Black Bloc a farmi conoscere questo gruppo incredibile che meriterebbe di avere tutto quel successo che non ha mai avuto.
I 2:20 erano composti da cinque elementi della scena hardcore di Oslo e il cantante che aveva un non so che di Henry Rollins, nelle movenze come anche nel look. Da quello che so, il gruppo ha all’attivo due dischi: uno, omonimo, uscito nel 2005 e un secondo, dal titolo God nat til alle barna, uscito del 2007. Inutile dire che ne posseggo entrambe le copie. O meglio, ne possiedo solo una perché l’altra è rimasta nell’autoradio di una 600 che ho fatto rottamare, ma questa è un’altra – terribile – storia.
I 2:20 suonano un hardcore particolare, non troppo veloce e con alcune inflessioni più o meno melodiche ma sostanzialmente dominato dai tritoni e palm muting. I pezzi sono cantati tutti in norvegese in modo abbastanza incazzato, ma con quell’incazzatura che puoi avere solo se nasci in una socialdemocrazia nordeuropea che a 18 anni ti dà un sussidio per andare a vivere da solo. Le tematiche trattate nei testi si richiamano invece a quelle della filosofia anarcho punk. Tutti questi elementi insieme danno vita a un suono strano e innovativo – almeno per quelli che sono quasi 20 anni fa – che in alcuni accenni potrebbe ricordare addirittura i System Of A Down del primo album. E il tutto è chiaramente suonato bene.
Per un po’ di tempo ho cercato di portare avanti il verbo dei 2:20 masterizzando il CD preso al concerto per gli amici e, in seguito, facendo ascoltare a tutti il 45 giri che mi aveva portato, due anni dopo, l’amica di mia madre. Per qualche anno, sulla porta di uno dei bagni dei maschi del Liceo Classico di Massa, tra gli insulti campanilisti, le dichiarazioni d’amore, le falci e martelli e le croci celtiche sbarrate, è persino capeggiata la scritta: “2:20 Oslo Punk”. Purtroppo, oltre all’unica copia di God natta til alle barna probabilmente presente in Italia, di questo bellissimo gruppo non resta più granché: né un social, né un’etichetta discografica e nemmeno un gruppo Facebook dal titolo “Vogliamo la fottuta reunion dei 2:20”. Ma non disperate: potete godervi entrambi i dischi su Youtube, scrivendo nella barra di ricerca “2:20 Oslo punk”.
Solitamente, il primo pezzo di un disco è quello più importante. La prima traccia è quella che presenta il gruppo, è quella che ti guarda negli occhi e ti dice: «ecco, guarda chi cazzo sono»; da London Calling a Smells Like Teen Spirit, passando per Enter Sandman e Waiting Room. Il primo brano del primo album si chiama “Pønkråkk” e verso la fine, quella voce mezza urlata e un po’ gracchiante urla: «politiet er ikke pønkråkk!» (La polizia non è punk-rock).
Grazie, 2:20.