Kae Tempest e Beach Fossils sorretti dalla qualità dei progetti in apertura, frutto di una visione artistica che lascia spazio agli emergenti, guidando il festival attraverso il suo ventisettesimo anno
Al day 3 di Ypsigrock 2024 la magia ricomincia al Chiostro, rifugio per i partecipanti accaldati e stremati che accoglie tutti come una ventata di aria fresca. Qui il mood musicale, sempre molto chill, aiuta il pubblico a entrare nell’atmosfera del festival senza sforzo, tra cocktail e chiacchiere. Prima Laura Groves e poi i Tapir! si esibiscono in un set che ricorda una festa di quartiere, per via del loro carattere pacato e delle canzoni leggere che invadono il colonnato.
La serata prosegue con la performance di Kimyan Law sull’Ypsi Once Stage, che offre una performance atipica e forse un po’ fuori luogo se inserita nel contesto della line-up. L’artista unisce sequenze elettroniche a pad suonati dal vivo, dando vita a suoni tribali e groove sincopati che si animano sotto le sue mani esperte.
Gli Heartworms, invece, portano sul palco una vibe completamente diversa, aprendo il live con una marcia sul posto e mosse coordinate a tempo di musica. Tanti strumenti in sequenza, compreso il basso di Elizabeth Walsh che aveva il passaporto scaduto. I testi vengono interpretati enfaticamente da Jojo Orme che indossa un impermeabile nero lungo fino ai piedi e penso che sicuramente non se la starà passando bene sul palco. Vicino a me, una spettatrice siciliana la definisce simpaticamente una “vuciazzera”, cioè una persona che grida sempre a caso. Nonostante Jojo si dimeni come in preda a convulsioni, infatti, la gente fa fatica a seguire l’andamento lineare delle canzoni, che spesso non presentano alterazioni significative. Infatti, molti preferiscono affollare il bar situato al lato della piazza.
L’atmosfera si riscalda decisamente con l’arrivo dei Bdrmm, accolti da urla di entusiasmo. Dopo un semplice «Ciao», iniziano a suonare It’s Just A Bit Of Blood con una potenza che scuote immediatamente il pubblico, finalmente risvegliato. I loro pattern ipnotici a volte ricordano una versione shoegaze dei The Stone Roses, strappando applausi e coinvolgendo anche i più scettici. L’elettronica, integrata perfettamente nel contesto live, arricchisce la palette di suoni della band, sempre interessanti. La loro performance è esplosiva, Jordan Smith con la sua energia inesauribile incita la folla che poga e si muove come una massa organica. Sicuramente l’esibizione più memorabile della serata.
Subito dopo, il concerto di Kae Tempest segna invece il momento più emotivo della scaletta. Kae, con la sua presenza carismatica, invita il pubblico a seguire le sue parole non con la testa, ma col cuore. Su beat elettronici e atmosferici, Kae rappa, parla e gestisce il flow con autorità, come se stesse tenendo un grande speech di fronte a migliaia di persone. Le prime file sono profondamente commosse, con alcuni spettatori addirittura in lacrime, mentre più si va verso il fondo, più diventa visibile il distacco tra pubblico e artista.
All’ultimo giorno di festival la stanchezza si fa sentire e ciò si scorge soprattutto nei volti di chi dorme all’Ypsicamping, collocato all’interno del Parco delle Madonie. In queste sere, infatti, al Cuzzocrea Stage si sono svolti degli afterparty che gradualmente ospitano sempre più artisti, per poi chiudere con un Closing Party by Partyzan che finirà alle 8 del mattino di Lunedì. I campeggiatori sono svegliati ogni pomeriggio alle 14 dal format Avanti il Prossimo, una competizione per talenti emergenti che si tiene proprio al Cuzzocrea Stage, dove quest’anno suonano Nepobaby, Buckwise, Kyoto, Rip, Laura Masotto ed Emma.
Laurel Auder e gli Yin Yin spaccano al Chiostro. L’intensità e la partecipazione sono subito pari alle esibizioni dei big di Piazza Castello. La band olandese è capace di far ballare pure i sassi e nonostante siano solo le 19, sembra già l’afterparty.
Nell’Ypsi Once Stage la rapper australiana Tkay Maidza anima la folla con un’energia invidiabile. Nonostante sembri fuori contesto alla fine riesce a cavarsela, anche grazie a una cover di Where Is My Mind dei Pixies che crea un ponte immediato tra lei e le prime file.
Durante questi quattro giorni si sono visti tanti progetti musicali che affondano le radici nel post-punk, per poi muoversi verso l’elettronica. I Fat Dog sono gli artisti che hanno saputo unire con maggior successo le sonorità di questi due mondi. Cori epici, assoli di sassofono, synth pulsanti e intermezzi che sembrano polka, il tutto splendidamente condito da beat esplosivi: in definitiva, la band dal sound più variegato e spiazzante di tutto il festival.
La voce di Joe Love muta continuamente da uno scream metal a uno spoken solenne che sembra quello di Egor Shkutko dei Molchat Doma o di Till Lindemann dei Rammstein. Con loro la piazza è una bolgia, la gente poga fino alle ultime file. Il tempo sembra volare e quando il loro set termina partono i consueti cori: «One More Song!». Ma la timetable va avanti, devo dire sempre con puntualità.
I Nation Of Language, poi, ci catapultano direttamente negli anni ’80. Il trio di New York si destreggia abilmente tra drum machine, synth avvolgenti e riff di basso ricchi di chorus, sapientemente mixati dal fonico Skinny, a cui mi sento di fare un plauso. La nostalgia prende il sopravvento e se si chiudono gli occhi sembra di sentire l’eco dei New Order, con la voce di Richard Devaney che si può collocare a metà strada tra Bernard Sumner e Morrissey.
Lo spettacolo dei Beach Fossils rievoca invece una dimensione che non è nuova all’Ypsigrock 2024: gli headliner fanno il “compitino”, con dei suoni veramente molto discutibili. Si può capire l’elemento lo-fi, ma l’acustica è veramente fastidiosa. Non ci sono scusanti, soprattutto all’interno di un festival che ospita band contraddistinte da un sound ben più sporco di quello del gruppo di Brooklyn. Il loro atteggiamento da introversi ormai è quasi una macchietta e quando cercano di coinvolgere il pubblico si trasformano in animatori da villaggio turistico.
Tirando le somme, la line up più azzeccata in termini di crescendo, intensità e partecipazione è stata quella del primo giorno, capeggiata da Colapesce e Dimartino. A differenza del duo siciliano, gli altri headliner di questa edizione si sono un po’ adagiati sul loro status di artisti acclamati, trascurando di offrire uno spettacolo che fosse all’altezza della loro musica.
Sorprendentemente, sono stati i progetti di apertura a brillare di più, con un’energia e una verve inaspettate, riuscendo a prendere le redini della serata senza l’ausilio di coreografie o effetti speciali.
Gruppi come Bdrmm, Fat Dog, Model/Actriz e Royel Otis hanno saputo coinvolgere il pubblico in maniera più efficace, quasi “rubando” la scena ai big in scaletta. Non si tratta di sminuire la validità artistica dei progetti principali, ma di riconoscere l’abilità nella dimensione live di gruppi che, inseriti nel contesto di un festival, fanno davvero la differenza.