Loading

Yes We Rap: l’hip hop inaugura la quarta edizione del TOM Fest

Il TOM Fest è il festival internazionale ideato e diretto da Anastasiia Yeromenko – voce della brass band balkan latina Bandaradan – e organizzato da Live Torino APS. Giunto alla quarta edizione, è un approdo sicuro per chi cerca nella musica un porto in cui influenze culturali e linguistiche diverse si intrecciano, creando contaminazioni sconfinate. La prima serata, interamente dedicata all’hip hop underground, ha portato sul palco una selezione di voci e producer dall’Italia ai Balcani


Siamo all’Hiroshima Mon Amour di Torino. All’arrivo, il primo caldo quasi estivo lascia spazio a un tramonto rosato che si riflette nel giardino interno. C’è calma tutto intorno. Per i live di Yes We Rap – questo è il nome scelto per la serata di apertura del TOM Fest – ci si sposta nella sala interna al piano di sotto, quella con luci a led che disegnano una trama a scacchiera sul soffitto, prima rossa e poi blu.

Il pubblico è ridotto, ma a un certo punto bisogna pur cominciare. Sta per scattare la lancetta sulle dieci quando Mastafive sale in consolle. Senza preamboli, da inizio alla serata mixando su un controller Roland DJ-808 una selezione di brani della scuola rap italiana: da quelli più nuovi come TROPPAweed di Neffa feat. Noyz Narcos e Alzati, brano in collaborazione con Nadya, a pezzi più classici di Fibra, Frank Siciliano Sangue Misto.

Quando finisce Senti Come Suona, sale sul palco Risen, al secolo Salvatore MililliDichiara che erano almeno due anni che non si esibiva in live. È un bene che sia tornato: la scena italiana ha bisogno di rapper capaci di tenere il flow senza appoggiarsi all’autotune, intonati e con la prontezza del freestyle. È un’occasione mancata per molte e molti torinesi che amano il genere: erano davvero pochi a sentirselo. Chiude con un brano dal tiro funk ‘n blues, A me piace u rap omaggio alle sue radici partenopee – e anticipa che sta per uscire il suo nuovo EP, prodotto da Ricky Rossini.
Nel cambio palco, Mastafive dall’Italia ci trasporta negli Stati Uniti con Be Easy Remix di Ghostface Killah feat. Ice Cube.

Casco Aka Helmet sale sul palco. Classe 1995, Mc e freestyler, è artista residente del format milanese dedicato alla bass music Basso Profilo, membro del Vikings Klan, di OutboardMusic e del movimento Il Muretto di Milano. Il suo stile si caratterizza per un flow serrato su liriche complesse, con chiara influenza dell’hip hop americano e della black music in generale. Da anni ha un sodalizio artistico con DJ Krash, con cui ha prodotto Memorie di Inverno (OutboardMusic, 2022), un concept album con ospiti della golden age italiana come Maury B, Dj Skizo e The Next One. Casco attacca con un freestyle da battaglia per poi passare al brano Arrogante e Pesante, cercando il back to back con il pubblico sul ritornello. Le mani si alzano a ritmo su Hurry Up, un invito a fare subito ciò che si può rimandare. Chiude con Jazz Bellaz, pezzo jazz sciallone come lo definisce scherzosamente lui, uno di quelli a cui si sente più legato.

La voce inconfondibile di Nas risuona con Bridging the Gap (feat. Olu Dara), segnando l’inizio del cambio palco. Mastafive resta saldo alla consolle, accompagnando il pubblico nell’atmosfera con l’iconica 1984 di Salmo, che fa da preludio all’ingresso di un’altra leggenda: il signor Maury B. Pioniere della scena underground, negli anni Novanta ha fondato con Left Side e The Next One il gruppo The Next Diffusion. Il loro primo album, Dritto dal cuore (Crime Squad, 1995) è stato pubblicato anche negli Stati Uniti e riconosciuto da Afrika Bambaataa come disco ambasciatore della cultura hip hop italiana nel mondo.

Il rapper di Nichelino porta la grinta della old school con liriche attualizzate. Apre con Guerra Fredda prodotta con DJ Shocca –, presenta per la prima volta dal vivo Offline – pezzo prodotto con Mastafive e DJ Lil Cut – e prosegue con alcuni estratti dal suo nuovo album, Nuova Era (Vibra Records, 2025). Chiude con Into the Gate, brano del 2013 sempre prodotto con DJ Shocca. Il pubblico, benché poco numeroso, è decisamente coinvolto. Maury B parla chiaro: «Non abbiamo mai fatto musica di gomma. Per questo le major non ci vogliono». E per fortuna, verrebbe da dire.

La serata prosegue con Dj Fede, in console con i classici CDJ della Pioneer, e con il rapper torinese Dafa. L’attacco è più cupo dei precedenti: Ghetto Master (La Mattanza) taglia l’aria con rime tra il presagio e l’augurio di una sorte migliore. Il ritmo si distende, meno serrato rispetto agli act precedenti. Il mood è marcatamente old school: niente ibridazioni, niente di complesso. Solo barre e beat.
Intanto, gli artisti si muovono tra il pubblico con tranquillità: più che a un festival, sembra di essere a una festa fra amici e amiche. Mastafive rientra alla consolle e mette in play Balenciaga di Buba Corelli: una virata netta verso traiettorie balcaniche, che prepara il terreno al prossimo artista. 

Straight outta l’asse Roma-Sarajevo, parte a rappare Dopplegänger. Classe 2000, nato in Italia, il principale motivo per cui sono venuta all’Hiroshima questa sera è che con Alen Đokić condividiamo la storia della diaspora jugoslava. Il suo balkan rap è un modo per dire al mondo, in modo tagliente, ironico e talvolta rabbioso, cos’ha significato per lui crescere con le doppie radici, senza sentirsi mai completamente integrato. Troppo italiano per essere bosniaco, troppo bosniaco per essere italiano.

Fin dall’ingresso sul palco, coinvolge il pubblico, lo invita ad avvicinarsi, a partecipare, mantenendo il ritmo anche nei passaggi più complessi, nonostante qualche fugace inciampo. Esegue alcuni dei brani più virali del suo repertorio come Dr. Jekyll & Mr. Hyde e Haman Taman, con testi in italiano ma carichi del suo retaggio balcanico. Su Joj, prima traccia in collaborazione con i mitici Dubioza Kolektiv, chiede il pogo. E lo ottiene. Alen si butta in mezzo al pubblico, si salta abbracciati in cerchio. Prima di uscire di scena, un ultimo appello per andare a votare al referendum l’8 e il 9 giugno. Poi, la serata si chiude con il dj set di El Balkanero, a chiudere il cerchio. Perché è questo quello che accade al TOM Fest: si inizia in un punto del mondo e si finisce in un altro, con continuità.

Nonostante l’affluenza contenuta, la serata ha offerto una panoramica autentica e potente della scena rap underground. Tra leggende consolidate e voci emergenti, si è respirato un senso di continuità e appartenenza. L’evento è stato un’occasione per (ri)scoprire artisti che, pur lontani dai circuiti mainstream, continuano a produrre musica densa di contenuto e identità. Per chi ama l’hip hop dell’underground, il concerto ha confermato che esiste ancora una scena viva, combattiva e in grado di rinnovarsi restando fedele alle radici: una pacifica milizia resistente di questo sottosopra musicale, che marcia fuori dalle mode ma dentro la realtà.

 

foto di Gabriele Tuninetti

Jelena Bosnjakovic

Mix italo-balcanico. Cerco storie tra le frequenze. Può la musica essere un metro di giudizio? Sì, siamo ciò che ascoltiamo.

Loading
svg
Navigazione Rapida
  • 01

    Yes We Rap: l’hip hop inaugura la quarta edizione del TOM Fest