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Tra intimità e palco: intervista a Gioia Lucia

Al Circolo Magnolia di Milano si è chiuso il tour estivo di Forse un giorno, album d’esordio di Gioia Lucia. La cantautrice milanese è salita sul palco con la sua band per presentarlo, aggiungendo cover, feat e alcuni brani del passato. Prima del live l’abbiamo intervistata per farci raccontare il percorso e le sensazioni di questo 2025, anno del suo primo album e del suo primo tour


Il percorso artistico di Gioia Lucia, nome d’arte di Lucia Vitale, è stato coerente e in crescendo fin dall’inizio. Prende forma nel 2021 e, dopo appena un anno, inizia a ricevere le prime attenzioni grazie alla pubblicazione di due EP dal suono più elettronico, realizzati con il supporto di Yoisho e Bravo, Bravissimo.

La sua scrittura è sincera, genuina, nasce tra i banchi di scuola e cresce nel tempo. Ha poco più di vent’anni, ma riesce a coniugare bene suoni maturi con un linguaggio autentico, tipico della sua generazione.

Nel 2025 arriva il suo primo vero album, Forse un giorno, distillato perfetto delle sue contaminazioni musicali. Dall’uscita del primo singolo, Morta d’amore, il numero di live e l’hype intorno al progetto sono cresciuti esponenzialmente.

La incontriamo quindi sulle iconiche sdraio all’ingresso del Magnolia, all’inizio della serata, prima dei vari live che precedono il suo set. Gioia Lucia sembra divertita ed elettrizzata dall’idea di salire sul palco: «Ora sono tranquilla, l’ansia arriverà alle 21:30, poco prima del live» ci confida dopo essersi presentata. Nel frattempo scherza con lo staff, saluta i primi arrivati e ci mostra con orgoglio il banchetto con i suoi vinili freschi di stampa, consapevole che la tangibilità della musica aggiunge ancora più concretezza al suo sogno artistico.

L’intervista parte quindi dal principio, da quella cameretta del 2021, dove tutto ha avuto inizio:

Oggi, prima di venire qui, ho iniziato a guardare il tuo canale YouTube e ho ritrovato il tuo primo video, quando ti chiamavi Lu. La canzone si intitola Gabbia e tu eri lì, con un libro aperto che sfogliavi le pagine. Era un video molto semplice, ingenuo, ma mi ha incuriosito perché aveva già una buona struttura. Avevi già in mente un tuo percorso musicale da intraprendere? Come ti sei poi trasformata in pochi anni fino ad arrivare a oggi?

Di base non avevo in realtà una grande idea di ciò che volessi fare. È partito tutto perché eravamo in quarantena, nel periodo 2019-2020. Ho scritto Gabbia – quarantena, Gabbia, non ho avuto una grande fantasia… – partendo da un type beat e l’ho pubblicata su YouTube e su Instagram. Da lì è partito effettivamente il mio modo di fare musica. La svolta è arrivata quando ho iniziato a lavorare con il mio produttore Federico Lastella (Yoisho, in arte), che è anche il bassista che troverete sul palco con me. Da quel momento ho cominciato ad affinare sempre di più il mio stile, ho iniziato a studiare musica e a capire meglio cosa volessi fare. E ora siamo qua.

Dopo Gabbia invece c’è stata una parentesi con dei pezzi un po’ più elettronici. È una strada che hai abbandonato? Come ti poni adesso rispetto a quel genere di musica?

Sì, era così perché ancora non studiavo musica, non avevo l’orecchio per dire «voglio che le produzioni siano in questo modo». Nelle nostre sessioni venivano fuori cose che in realtà apprezzo ancora molto, ma io sono più da musica suonata, con strumenti reali, registrati dal vivo. Così, per il mio ultimo album, ho virato verso qualcosa di più strutturato e per ora sono ancora su quella strada.

Parliamo di quest’ultimo album, Forse un giorno. Mi hai citato spesso il tuo modo di fare musica con Federico (Yoisho), quindi ti chiedo: come organizzate il vostro processo creativo? Come vi incastrate musicalmente nella creazione dei brani?

Tendenzialmente io scrivo a casa, piano e voce o chitarra e voce, poi vado da lui in studio e gli dico «lavoriamoci». Lui mette le sue idee, io le mie, ci confrontiamo. La maggior parte dell’album è nata così, lavorando separatamente e poi insieme. Alcune canzoni le abbiamo scritte anche con altri autori, come Masa Masa, per Morta d’amore, la mia canzone più riconoscibile. Mi capita che mi dicano: «Ah, ma tu sei quella di Morta d’amore!». Quel brano per esempio l’ho scritto con Yoisho e Masa Masa in studio, lavorando tutti e tre insieme, live, sul momento. Ci sono stati modi diversi di creare durante tutto l’album.

Nella costruzione dell’album c’è stato un momento in cui, dopo aver scritto un brano, hai pensato «questa è una hit»? È successo con Morta d’amore oppure te ne sei resa conto dopo?

All’inizio no, devo dire di no. Nella prima session non era ancora così groovy, era più una versione piano e voce. Poi Yoisho ha avuto un guizzo, si è proprio lasciato andare e ha tirato fuori una produzione incredibile. La prima volta che l’ho suonata live non era ancora uscita – credo due anni fa ormai – e il pubblico è impazzito. Lì ho pensato:  «Ok, forse questa può essere la mia hit».

E di questo album, qual è la canzone che ti faceva più paura pubblicare, quella su cui eri un po’ più incerta?

Forse Parole vuote. È uscita come singolo, anche se io ero un po’ contraria, perché è una canzone molto più profonda, più intima. Volevo che rimanesse nascosta nel disco, da scoprire solo se hai voglia di ascoltarla, non che fosse messa subito in risalto.

Però è interessante, perché è diversa rispetto alle altre e ti aiuta a mostrare più sfumature.

Esatto, quindi in realtà sono contenta. Ma in generale è il mio brano più intimo.

Per i feat dell’album hai Ombra, Light d’Orange e altri produttori. Ho visto che stasera c’è anche Faccianuvola, giusto? Ci sono nuovi feat in arrivo? E, più in generale, come scegli i progetti con cui collaborare?

Sì, stasera ci sono Faccianuvola e Light d’Orange, che ha fatto effettivamente un pezzo con me. Faccianuvola l’ho chiamato perché amo il suo ultimo album, me lo sono divorato, e ho detto: «Ti prego, vieni!».  Sono contenta di suonare con lui.
Per i feat futuri ho qualche idea, ho in mente progetti che mi intrigano, artisti che ho scoperto suonando in giro per l’Italia quest’estate. Ho conosciuto tanti bei progetti, quindi ci sono persone con cui mi piacerebbe lavorare. Poi vediamo cosa succederà, ma ho diverse idee in mente.

Quest’anno hai letteralmente girato l’Italia con il tuo primo tour. All’inizio avevi annunciato poche date scritte su un’agenda sui social e poi, all’improvviso, si sono moltiplicate fino a diventare un vero cartellone con oltre venti date. Cosa ti è rimasto di questa esperienza? Quali sono state le date che ti hanno colpito di più?

È stato bellissimo. Alcuni posti mi hanno davvero sorpresa, tipo quando siamo andati a suonare in Sicilia, a Caltagirone. Sono salita sul palco e c’erano tantissime persone che conoscevano i miei brani e mi chiedevo: «Ma com’è possibile?». È sempre strano, perché nella mia città ci sono i miei amici ed è facile, ma poi quando ti accorgi che anche così lontano ci sono persone che ti ascoltano, è un’esperienza bellissima. È stato davvero entusiasmante, così come tutto il tour.

La scaletta invece l’hai cambiata col tempo o hai mantenuto la stessa struttura durante tutti i live?

La scaletta si è evoluta molto. Dalle prime date di maggio e giugno fino ad ora abbiamo cambiato parecchio: fare un tour di 25 date con la stessa scaletta diventa noioso sia per noi sia per il pubblico. Così abbiamo aggiunto pezzi, cover, cambiato arrangiamenti. Siamo molto contenti, c’è stata una bella evoluzione.

Nei tuoi live, qual è la canzone che ti dà più soddisfazione suonare?

Eh vabbè, Morta d’amore! Perché lì arriva un’ondata di voci, applausi, energia… è bellissimo. Ma anche Vento in faccia: piace tantissimo al pubblico, ho un buon ritorno quando la suono.

Ti chiedo le ultime due curiosità. La prima: mi hai parlato di tanti progetti interessanti, come appunto Faccianuvola. Quindi ti chiedo, se pensi a una tua playlist ideale di progetti che ti hanno colpito o impressionato di più quest’anno, live o su disco, quali artisti ti vengono in mente?

Faccianuvola, come ho detto prima, ho amato il suo album. Poi Nico Arezzo, fortissimo: l’ho sentito live, incredibile, davvero bravo. Poi Anna Castiglia, mi ha colpito tantissimo. Anche lei l’ho sentita live, abbiamo suonato insieme una volta. E infine un gruppo di cui mi sono innamorata follemente è Il Mago del Gelato.

Chiudiamo con i social. Mi incuriosisce sapere come li usi per veicolare la tua musica, ma soprattutto ho notato che tua madre è una grande protagonista del tuo TikTok! I tuoi genitori ti hanno supportato in questa tuo percorso musicale?

Allora, i social li uso in maniera molto naturale. Dopo un po’ ho iniziato a disinteressarmi di filtri e sovrastrutture varie e ho cominciato a pubblicare le cose in modo più genuino e semplice possibile. Per mia madre, invece, il motivo è semplice: mi fa fare un sacco di like! A parte gli scherzi, sia lei che mio padre sono sempre stati molto attivi e mi hanno sostenuto tanto, anche economicamente, perché all’inizio ho dovuto chiedere un po’ di aiuto e loro ci sono sempre stati. Sono super contenti, e anche io. Tra l’altro verranno anche stasera!

Bene, allora li becco sotto il palco a pogare con Morta d’amore?
Sì, tanto li riconosci subito, sono sempre sul mio profilo!


Con queste frasi ci siamo congedati in vista del suo live augurando il meglio e con la promessa di un feedback finale a fine evento. Ad aprire la serata, prima di lei, i Frenesya e Calmo, due progetti interessanti che meritano anche loro la giusta attenzione.

Il suo concerto invece è durato un’ora e venti e ha restituito esattamente tutto ciò che Gioia Lucia aveva raccontato nell’intervista. La sua passione per la musica suonata è evidente. Sul palco, insieme a lei, cinque musicisti hanno disegnato una nuova veste per ogni brano, con tante minuziose estensioni strumentali.

Le due canzoni finali sono state Morta d’amore e Gabbia. Un bel dualismo tra la hit che tutti si aspettavano e il brano delle origini nato in cameretta durante la quarantena, come raccontato all’inizio dell’intervista. Morta d’amore, introdotta da un intenso dialogo tra la batteria di Alberto Biosa e le percussioni di John Squillante, è stato l’apice del concerto come da lei annunciato. Parole vuote invece si conferma una ballad pop intensa con un bell’assolo di chitarra di Ermes dal gusto retrò

Da sottolineare la capacità di Gioia Lucia di costruire una performance senza cali di tensione, grazie all’inserimento di una cover di Splendido splendente piazzata dopo i primi quattro brani, due momenti acustici con chitarra e i due feat con Light d’Orange e Faccianuvola (l’arrangiamento funky di Portami a ballare in primavera  è stato uno dei momenti culto di tutto il live).

Yoisho al basso e Mario Croce alle tastiere portano a casa l’arduo compito di immergere il pubblico in una venatura più funky e tutte le canzoni che rispettano questa prerogativa hanno una resa sul pubblico importante. Le tue mani, la tua moto si conferma infatti una possibile hit anche dal vivo.

Il pubblico conosceva a memoria quasi ogni parola, segno della forza comunicativa della sua scrittura, e chiede il bis che Gioia Lucia concede per due volte prima di chiudere definitivamente la serata.
L’impressione è che Gioia Lucia stia trovando la propria voce e la stia condividendo con sincerità, con uno show ben pensato e misurato in tutte le sue parti. È solo l’inizio del suo percorso musicale, ma le premesse lasciano ben sperare in tante possibili evoluzioni future.

 

foto di Natalia Menotti 
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