In occasione del Listening Party organizzato da Backdoor lo scorso 18 ottobre, abbiamo avuto il piacere di ascoltare in anteprima Touch, il nuovo album dei Tortoise in uscita il 24 ottobre 2025 per International Anthem. Il disco stupisce per la sua energia concentrata ed equilibrata: gli immancabili intrecci tra jazz ed elettronica fanno sorridere e al tempo stesso penare coloro che attendevano da tempo il ritorno della band
A nove anni di distanza da The Catastrophist (2016) esce Touch, il nuovo album dei Tortoise, il supergruppo di Chicago che si colloca da oltre trent’anni tra i progetti più rilevanti del panorama musicale mondiale. Formati da Douglas McCombs, John Herdon, Dan Bitney, John McEntire (ex Gastr Del Sol) e Jeff Parker, i Tortoise nel 2025 debuttano con la International Anthem, giovane label di Chicago che ha preso sotto la sua ala protettrice la scena jazz sperimentale della sua città per dare una spinta alla comunità di musica d’avanguardia attiva da sempre nella zona.
Tra le band fondatrici del post-rock con il self titled del 1994, nel corso della loro discografia i Tortoise si sono avvicinati a tantissimi generi e tipi di composizioni musicali differenti, partendo da suite dense come Djed, muovendo poi verso il krautrock e il jazz con incursioni nel formato canzone standard.
Nei pezzi dei Tortoise si percepisce un ventaglio di emozioni e sentimenti tenuti assieme da una rete di immancabile follia che colora ogni brano di un insolito straordinario. Ma se si ricerca l’ineffabilità di TNT o il trasporto di Millions Now Living Will Never Die, ascoltando Touch si potrebbe restare delusi. Uno degli elementi cardine di questo album è sicuramente l’energia in perfetto stile Tortoise, dove jazz ed elettronica trovano la loro dimensione di incontro creando intersezioni che sembrano quasi chirurgiche. È un disco che stuzzica, molto più accessibile e ballabile dei precedenti, dove lo spettro della retro-nostalgia aleggia indisturbato tenendo per mano lo spirito jazz d’avanguardia. Forse è proprio questa accessibilità di ascolto che potrebbe risultare spiazzante per chi è affezionato al sound anni Novanta della band, caratterizzato da un groove coinvolgente e un andamento elastico che in Touch sono sì presenti, ma in misura minore.
I singoli riassumono bene l’anima del disco: Oganession ci trascina in una dimensione jazz sognante e quasi scherzosa, Works and Days introduce la sfera lo-fi con suoni che richiamano ora scratch di vinili, ora un’interferenza da vecchio giradischi trovato in soffitta e, infine, Layered Presence riporta vagamente in testa una Franz Schubert dei Kraftwerk ma decisamente più ballabile e aperta, dove la chitarra elettrica entra in dialogo con il resto degli strumenti.
Infatti, è proprio la sei corde amplificata uno degli elementi principali del disco, a volte la si sente doppiare i sintetizzatori, ma più volentieri intesse assoli che sovrastano il continuum musicale. Ne è un esempio Promenade à deux, che vede dispiegarsi la coralità dei suoni partendo da una chitarra protagonista, la quale si interfaccia con la viola di Marta Sofia Horen e il violoncello di Skip VonKuske. In questo modo l’atmosfera del brano si colora con tocchi di world music che strizzano l’occhio a un pizzicato di origine orientale. Le linee di synth sono essenziali e l’elettronica è orientata agli scorsi decenni più che viva nel presente, donando al disco sfumature hauntology ben dosate e coese. Tra brevi stacchi drone, cenni dream pop in A Little Comes e una cassa dritta in Elka, con Touch i connubi sonori dei Tortoise si vestono eleganti e meno stravaganti dando vita così a un album sincero che scorre bene ma senza far trasalire, raccontando più un’atmosfera che una storia in sé.
Touch è un album completo, ma che tentenna. Nonostante dopo un paio di ascolti cominci tutto ad apparire più chiaro, sono stati lasciati alcuni scorci di possibilità inesplorate in diversi punti del disco, soprattutto in alcuni finali di brani che così risultano spezzati dal continuum in maniera quasi arrangiata. Il disco non vuole fare eco ai vecchi album e punta sul controllo più che sul bizzarro. Lo fa, cercando di non lasciare indietro nessuno di quei tratti caratteristici della band, in cui gli aficionados potranno ritrovare i vecchi Tortoise mentre gli altri, invece, li criticheranno per non essersi abbastanza sviluppati. La durata dei brani è ristretta rispetto al passato e questo può fare storcere il naso a chi si aspettava un progetto in stile Millions Now Living Will Never Die, se consideriamo anche il ritorno del post-rock dei Godspeed You! Black Emperor lo scorso anno con No Title as of 13 February 2024 28,340 Dead, disco lancinante a 360 gradi. I Tortoise, invece, sembrano volere continuare a comporre con quello stesso spirito avventuroso che finora ha segnato la loro discografia, in un processo creativo che per Touch è stato inedito a causa della distanza geografica tra alcuni membri del gruppo, sparsi tra Los Angeles, Portland e Chicago.
Nonostante alcuni dubbi, però, Touch funziona e suona bene. L’andamento fluttuante tra un brano e l’altro fa alzare le antenne dell’attenzione, soprattutto nel side A del disco. I Tortoise ritornano con abiti diversi, ma sempre in grande stile, riconfermandosi tra le band più polivalenti nell’universo musicale contemporaneo e non.

