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Todays chiude in sold out: i Massive Attack travolgono Torino

I Massive Attack chiudono la stagione del Todays firmato Reverse con un live imponente e affascinante, che va sold out appena a un’ora dall’inizio. Dalla Palestina all’Ucraina, dall’intossicazione mediatica alla tematica del libero arbitrio: il collettivo di Bristol si offre al servizio dell’attualità, tramortendo il pubblico con la potenza delle immagini, dei dati, dei suoi bassi devastanti


Eccoci arrivati alla fine del viaggio. Lunedì 2 settembre, Parco della Confluenza, ultima data in calendario per Todays Festival 2024. In cartellone i Massive Attack, il nome più atteso di tutto l’evento: quello scritto in cima, a lettere cubitali e per il quale non è stata predisposta alcuna band in apertura. Il via libera oltre i cancelli è previsto per le ore 18, l’inizio del live per le 21. A leggere gli orari, diffusi dalla pagina ufficiale di Todays la sera prima del concerto, ci si chiede come mai l’ingresso sia consentito con così largo anticipo; arrivati sul posto, la risposta è lampante. Un fiume di persone colonizza Piazza Sofia e l’ingorgo del traffico ostruisce Corso Regio Parco per oltre 3 km, fin dal suo imbocco su Corso Regina Margherita. Il parcheggio, neanche a dirlo, è un’utopia. C’è la fila in biglietteria, persino al banco del ritiro accrediti. Ai controlli di sicurezza spunta anche la cinofila, che inesorabilmente miete qualche vittima (ora sì che ci sentiamo più al sicuro).

In premessa, confesso la mia difficoltà di fronte alla prospettiva di recensire un evento di questo portata, di coglierne a pieno l’essenza, lo spirito, i numerosi messaggi. Quello dei Massive Attack non è un semplice concerto, non è solo un concerto. È una presa di posizione, prima di tutto politica e sociale, ma anche interpersonale, a tratti esistenziale; un invito esplicito alla consapevolezza e poi, tacitamente, alla partecipazione, a una presa di posizione, al dissenso. Un processo inter-performativo che, affilato come una lama, affonda dritto nella coscienza del suo pubblico, anche di quella fetta attratta solo dalle canzoni, dalle atmosfere, dall’aura prestigiosa – e ormai quasi leggendaria – che circonda i fondatori del trip-hop, capostipiti del sound di Bristol.

Infatti, il collettivo musicale inglese – che mancava nel capoluogo sabaudo dal 2010, quando si è esibito alla Reggia di Venaria – è famoso per il suo attivismo, sempre attuale e attualizzato, puntuale su quelli che sono i temi cardine dell’epoca in cui viviamo. Fin dal suo primo ingresso in scena, il progetto di Robert Del Naja e Grant Marshall ha messo in atto una chiara ed esplicita volontà comunicativa, lasciando parlare le immagini, i dati e le parole trasmesse dal maxischermo sullo sfondo, tradotte in italiano a scanso d’ogni incomprensione. La musica diventa, così, un elemento integrativo al servizio del messaggio e i musicisti, consapevolmente, si mettono in secondo piano, manifestando chiaramente la propria subordinazione.

Del resto, è inevitabile restare in ombra di fronte alle immagini della guerra in Ucraina, di Gaza dilaniata dalle esplosioni seguita dal volto compiaciuto di Netanyau in visita alla fabbrica di bombe; superfluo aggiungere parole al bilancio delle vittime palestinesi, alla vastità delle cifre che si sommano le une alle altre sullo sfondo sacrale di Safe From Harm, con Deborah Miller alla voce. Ma non c’è solo la guerra, non c’è solo Palestina: l’attenzione torna spesso su di noi, individui collettivi, utenti in un mondo sempre più digitale, che cresce rapidamente. Al centro le fake news, i complottismi – musicati da Rockwoork, cover degli Ultravox, a dir poco inusuale per il collettivo ma perfetta nel contesto –, l’identità, il culto fanatico delle celebrità, la libertà e il libero arbitrio. Non è un caso, infatti, il rimando implicito dei visual all’estetica cibernetica di Matrix, trilogia cult delle sorelle Wachowski: una rapida e casuale sequenza di cifre e lettere, che si mescolano alle frasi di senso compiuto incespicandone la comprensione.

Dal punto di vista prettamente musicale, il collettivo è impeccabile. Il sound è dominato dai bassi intensi e penetranti – misurabili su scala Richter – dei synth di 3D e di Winston Blissett alle cinque corde, ulteriormente valorizzati da un impianto audio e da una regia formidabili, che hanno davvero fatto la differenza in tutto l’arco del Todays. Le batterie di Damon Reece e Julien Brown ai due lati dello stage viaggiano all’unisono, complementari e simbiotiche come se fossero una sola. Immancabili, tra gli ospiti, anche Horace Andy – chiamato sul palco a cantare Angel e Girl I Love You con il suo caratteristico tremolio vocale – ed Elizabeth Fraser, interprete di Teardrop, Black Milk e Group Four, con la quale si conclude il viaggio.

Ospiti sul palco anche i Young Fathers e, concettualmente, Gigi D’Ag, rievocato dalla cover di In My Mind in apertura di concerto che introduce il tema della percezione mentale, della sua manipolazione e del concetto di libero arbitrio, mentre lo schermo in background ripercorre il famoso esperimento effettuato sulla mente di un macaco, targato Neuralink di Elon Musk.

Alla luce dei molti temi affrontati, rafforzati dalla qualità di un montaggio video fortemente evocativo – a tratti astratto e concettuale – che alterna immagini attuali e fonti d’archivio, è inevitabile il coinvolgimento emotivo. Durante l’esecuzione di ogni brano il pubblico assiste in silenzio, partecipe e commosso, in bilico tra la presa di coscienza e un senso amaro di impotenza. Un sentimento che ritorna con maggiore impeto, alla fine del live, quando lo schermo mostra una soggettiva avvicinarsi progressivamente verso un nastro rosso – forse una linea di confine, forse un limite morale –, per poi oltrepassarlo completamente, passandoci sotto.

Si chiude così, al suo apice emozionale e partecipativo, il Todays firmato Reverse, con un sold out da 8000 ingressi e un live imponente dal punto di vista estetico e performativo, che ha davvero pochi precedenti nel bagaglio storico della città. Malgrado la scarsa affluenza dei giorni precedenti – per lo più imputabile ai ritardi del bando comunale – il Festival dimostra di essere un valore aggiunto per la città di Torino, con una line up eterogenea ma ben bilanciata, a tratti imponente, in una location funzionale e suggestiva. E a parlare sono le emozioni, il pubblico, la musica di questi giorni.

 

foto di Elisabetta Ghignone

Alessandro Bianco

Giornalista, musicista e Video Editor, classe 1992. Vivo a Torino, in un mondo d’inchiostro e note musicali, di cinema e poesia: da qui esco poco e poco volentieri, ma tu puoi entrare quando vuoi.

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