Tornano i Viagra Boys con il loro nuovo disco (quasi) omonimo, Viagr aboys, uscito lo scorso 25 aprile. La band svedese, tra sarcasmo feroce e caos controllato, conferma di essere la voce più irriverente e necessaria del punk contemporaneo. Un album crudo, intelligente e assolutamente imperdibile
Nati nel 2015 a Stoccolma, i Viagra Boys si sono imposti fin dagli esordi come una delle band più imprevedibili, sporche e autentiche del panorama post-punk contemporaneo. Capitanata dal carismatico e imprevedibile frontman americano Sebastian Murphy, la band ha costruito la propria identità su un suono che unisce il caos del punk a groove ossessivi, sfuriate garage e inserti di sax free jazz, suonati da Oscar Carls, elemento ormai distintivo nella formula sonora del gruppo. Completano la formazione Henrik Höckert al basso, Torbjörn “Tobbe” Eriksson alla chitarra, Elias Jungqvist alle tastiere e Tor Sjödén alla batteria: sei elementi che, insieme, danno vita a una macchina musicale tanto sgangherata quanto perfettamente calibrata nella sua anarchia controllata. Con il loro album di debutto Street Worms (2018), trainato da inni generazionali come Sports e Just Like You, i Viagra Boys si sono fatti notare per la loro capacità di trasformare le assurdità della società contemporanea in racconti surreali e iconici. Il secondo album, Welfare Jazz (2021), ha ampliato ulteriormente la loro tavolozza sonora e ha messo in evidenza una vena malinconica, capace di convivere con il sarcasmo più feroce. L’equilibrio tra furia e ironia, tra critica sociale e autodistruzione, è sempre stato il vero marchio di fabbrica della band.
A distanza di quattro anni, il 25 aprile 2025, i Viagra Boys tornano con il loro terzo lavoro in studio, Viagr aboys, un disco che non solo conferma il loro status di culto, ma li rilancia come una delle voci più scomode e necessarie del punk odierno. Questo nuovo disco non tradisce le aspettative, anzi, le rilancia con forza. La band suona più compatta e feroce che mai, mantenendo quello spirito di dissacrante denuncia sociale che li ha resi celebri. I temi affrontati rimangono quelli di sempre: alienazione urbana, dipendenze, il culto tossico della produttività, il fallimento delle promesse di progresso. Ma i Viagra Boys lo fanno senza retorica, senza lezioni morali, piuttosto, ci mettono davanti a uno specchio deformante, dove il ridicolo e il tragico si mescolano inesorabilmente.
La musica, rispetto ai primi lavori, si fa ancora più essenziale e diretta, senza perdere la ricchezza di soluzioni sonore che li distingue. Il sax di Carls a volte urla come una sirena impazzita, altre volte si aggroviglia su sé stesso in melodie stortissime; la sezione ritmica di Höckert e Sjödén è un motore inarrestabile, capace di trascinare tutto e tutti in un vortice sonoro che sembra sempre sul punto di esplodere. Le tastiere di Jungqvist aggiungono sprazzi stranianti, mentre la voce di Murphy è ancora una volta il perfetto anello di congiunzione tra disperazione e sarcasmo.
Non serve analizzare traccia per traccia per capire che l’album funziona come un unico corpo sonoro coeso, ogni pezzo è un episodio di un’unica grande rappresentazione dell’assurdità del vivere moderno. Il risultato è brutale, divertente, disturbante e irresistibile. Anche stavolta, i Viagra Boys si confermano una band incapace di ripetersi in modo banale. Ogni disco è una nuova dichiarazione d’intenti, e Viagr aboys non fa eccezione: invece di ammorbidire il suono o cercare una via più facile, spinge ancora più a fondo nella loro estetica sporca, grottesca e autentica.
In conclusione, questo è un disco pienamente degno del nome che porta, crudo, intelligente, disturbante e necessario. I nostri svedesi preferiti si confermano la punk band più figa, irriverente e scomoda della scena contemporanea. Capace di essere autentica senza compiacersi, di raccontare il nostro tempo senza proclami, semplicemente continuando a suonare come se il mondo stesse per finire e forse, in fondo, è proprio così.
Un disco che non solo non delude, ma rilancia, ancora una volta. A dimostrazione che il punk, quello vero, sporco e libero, non è mai morto, ha solo cambiato forma. Ed è più vivo che mai.