Simone Panetti e la sua band spazzano via i poser del punk con Tombino, ultima fatica discografica uscita oggi per l’etichetta Thamsanqa. Diretto da Auroro Borealo e prodotto da Lenny Delicious, l’album sforna nove tracce violente, vere, senza filtri. È sudore, urla e pugni in faccia. È arrivato il momento, finalmente qualcuno che fa sul serio: fuori tutti, dentro Panetti
Simone Panetti, classe 1995, romano, nasce come una voce fuori dal coro nell’universo streaming italiano. Prima di calcare i palchi e i microfoni si fa notare su internet per il suo stile crudo, ironico, dannatamente autentico. Poi arriva la musica, Profondo Rosa e Titolo Provvisorio, due album che tracciano un percorso fatto di sperimentazioni e di costruzioni personali. Album interessanti, certo, ma che sembravano quasi dei prologhi a qualcosa di più grande, di ancora più vero.
Quel qualcosa ora è arrivato, si chiama Tombino. Dimenticate quello che avevate sentito finora. Quest’ album è un’altra storia. È fresco, è maleducato, è presuntuoso, è intelligente. È finalmente quel punk sporco, sudato, arrogante e vivo che in Italia mancava da troppo, troppo tempo. Non un punk pettinato da playlist di Spotify, non un esercizio di stile posticcio, Panetti tira fuori un disco vero, un disco che spacca sul serio.
Nove tracce che ti entrano nel cervello e te lo trapano senza chiedere permesso, ti spingono a urlare, a saltare, a menartela sotto al palco come se non ci fosse un domani. Ad accompagnarlo in questo nuovo progetto c’è una band che è una bomba pronta a esplodere: Valerio Visconti, Auroro Boreale – che ha curato anche la direzione artistica –, Giulia Formica e Greg Dallavoce. Un’entrata in scena perfetta, la squadra ideale per incanalare la furia creativa di Panetti e portarla a un livello superiore, anche e soprattutto dal vivo. Il risultato è un mix pazzesco, una sintesi tra il punk più rozzo degli Idles e la follia disturbante dei Viagra Boys, ma con una cifra tutta sua, personale, irripetibile, un connubio di suoni veloci, rif di chitarra potentissimi, testi che arrivano dritti al punto senza giri di parole. Il punk hardcore è finalmente tornato a suonare anche in Italia.
Il primo estratto del disco é Aria, il quale è già un manifesto, una dichiarazione d’amore all’ambulanza. Una serenata storta, che trasmette la necessità di sentirsi vivi. Tra le tracce più emblematiche c’è senza dubbio CCCP (Casa Casa Casa Pound), una rivisitazione irriverente e provocatoria della storica Io sto bene. Qui. Simone si prende gioco del fascismo con una leggerezza pesante come un macigno. Non c’è retorica, non c’è predica, c’è solo intelligenza, tagliente e viva, che trasforma l’omaggio in un atto di resistenza musicale. Ma Tombino non è solo pugni sonori. C’è spazio anche per deviazioni inaspettate, come nel brano Il peggiore in città, che flirta con sonorità country senza perdere nemmeno un grammo di quel punk che caratterizza tutto il disco. E poi c’è lui, l’inno definitivo, Re del pogo. Un pezzo che non lascia scampo, un cantico al pogo più sfrenato, con il ritornello che recita «pugno, calcio, spinta, salto, gamba, braccio, fino a che non vai giù!» e che sembra destinato a diventare il grido di battaglia di chiunque metterà piede sotto un palco durante il suo tour. Una sorta di manuale di istruzioni per il pogo, un reminder di cosa significa davvero perdersi nella musica.
Tombino è un disco che funziona dalla prima all’ultima nota. Non c’è niente di finto, niente di incartato per piacere ai palinsesti o ai social. È punk nudo e crudo, come non se ne sentiva da anni. I cori nei ritornelli, l’energia sporca ma mai casuale, la musicalità che non si preoccupa di essere educata, i testi che non si curano di essere politicamente corretti, tutto suona esattamente come deve suonare. Quindi non resta che armarci come meglio sappiamo fare e prepararci a pogare nella maniera più brutale possibile ai suoi live.
In un’Italia musicale piena di finti ribelli e punk costruiti a tavolino, Panetti arriva come un pugno in faccia. Tombino è il disco che mancava, il disco che urla “vaffanculo” a tutti quelli che hanno trasformato la rabbia in marketing. Grazie Simone, avevamo davvero bisogno di te.