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Ritornare in un luogo sicuro: l’intimo e affezionato abbraccio de L’Orso

Dopo 9 anni di silenzio, L’Orso festeggia il quindicesimo compleanno a Spazio211. La band, che ha contribuito a fondare la scena indie italiana, torna per un tour breve e intimo che ha già visto città quali Bologna e Roma, motivato più dal desiderio di suonare di nuovo tutti assieme che da un vero e proprio ritorno sulle scene


Ieri sera, 4 dicembre, il palco di Spazio211 ha ospitato una delle reunion più sorprendenti di questo 2025: dopo 9 anni di stop è tornato L’Orso, uno dei primissimi gruppi della scena indie italiana che con la sua musica ha segnato generazioni di adolescenti e futuri adulti, accompagnandoci dai primi traslochi per l’università fino a ricordarci che «i tuoi vent’anni son finiti e la tua testa deve stare su».
Dopo lo spostamento della data del 28 novembre in rispetto e appoggio delle manifestazioni nazionali per la Palestina, Mattia Barro, Omar Assadi, Francesco Paganelli e Niccolò Bonazzon arrivano a Torino festeggiando i 15 anni de L’Orso. Un’incredibile reunion tour di sole 5 date, condensato ma intenso: una sera dietro l’altra per una settimana in giro per l’Italia, toccando Bologna, Roma, Torino e Milano con un sold out registrato sulla data di stasera, 5 dicembre, all’Arci Bellezza e un ultimo show in programma domani sera, 6 dicembre, anch’esso all’Arci Bellezza.

Un concerto che non voleva essere un ritorno carico di lancinante nostalgia, ma un abbraccio collettivo diviso in quattro parti che permettesse di ballare e far ondeggiare le mani in aria ascoltando sorprendentemente di nuovo dal vivo quelle tracce così iconiche da sembrare quasi sorpassate. Loro stessi lo affermano, «sono cambiate tante cose in 15 anni», a partire dalla strumentazione fino a come suonano oggi certe canzoni scritte con una purezza d’animo quasi impensabile di questi tempi. Perché L’Orso ha sempre puntato a essere chiaro, andando dritto al punto, componendo canzoni tristi con motivetti allegri che esprimano i disagi del passaggio all’età adulta – «e tutta questa merda prima o poi farà curriculum!» –, del vivere in provincia e soffrire, dell’amore che c’era e che non c’è più. Un gruppo uscito di scena proprio quando l’Italia sembrava finalmente pronta ad accogliere quell’orda di artisti emergenti che facevano musica in maniera genuina, non studiata e nemmeno strutturata.

Con un pubblico impaziente, L’Orso sale sul palco e non si fa attendere oltre: parte Apri gli occhi siamo nello spazio (luogo n.1) ed è subito magia di suoni e ricordi. Una tenerezza invade il cuore di chi ascolta, le spalle iniziano a ondeggiare e i sorrisi appaiono dipinti sui volti: sono veramente loro e sono veramente qui davanti a noi, nel 2025, ci parlano ridendo e raccontandosi come se fossimo tutti vecchi amici che si ritrovano dopo tanto tempo. Le emozioni si intensificano quando parte Ti augurerei il male, dove tutte le voci del pubblico diventano un unico coro che si chiude in religioso silenzio all’ascolto del singolo inedito 9 anni, pubblicato solo su SoundCloud pochi giorni fa. 9 anni racconta del nuovo presente e delle occasioni perse, onorando la memoria di Johnny (Matteo Romagnoli) scomparso prematuramente due anni fa, fondatore dell’etichetta indipendente Garrincha Dischi che ha aiutato i piccoli artisti emergenti nel panorama della musica italiana a ricavarsi il loro spazio, quello stesso che ora il genere possiede a tutti gli effetti. È proprio in occasione dei concerti in suo onore del 23 e 24 febbraio 2024 a Bologna che i membri de L’Orso hanno ripreso gli strumenti in mano salendo di nuovo sul palco come un gruppo.
Dopo l’esecuzione, il momento di cordoglio profondo si distende per lasciare spazio a Giorni Migliori, contraltare utile ad augurare speranza uscendo dalla tristezza, perché «ho visto giorni migliori, pare tu abbia gli occhi grandi, per vederli anche tu», facendo così terminare la parte prima del live.

Nel secondo atto ascoltiamo brani tra cui Essere felici qua con il suo racconto arreso di come vivere in provincia quasi costringa ad andarsene, lasciando alle spalle tutto e tutti, compreso l’amore. Ma è la parte terza il vero momento più atteso di tutta la serata: i quattro scendono dal palco accompagnati da qualche strumento a percussione e una chitarra, si posizionano al centro della folla e cominciano a cantare. Ecco la realizzazione di quell’abbraccio collettivo che si percepiva sotto pelle: finalmente si manifesta coinvolgendo tutti. Alle prime note di Acne giovanile la folla si porta le mani al cuore, ondeggiando e cantando a gran voce. Non ci sono amplificazioni, nemmeno microfoni, il punto è proprio ricordare e ritornare per un breve lasso di tempo ai giorni in cui le chitarre si suonavano tra la gente e si faceva musica per necessità di condivisione e di espressione, non per monetizzare. Alcuni testi li sbagliamo, ormai non ascoltiamo queste canzoni da così tanti anni che qualcuno dopo aver cantato a squarciagola si gira e chiede «come si chiamava questa?». Un sogno lucido. Con Baci dalla provincia finisce l’abbraccio, la band risale sul palco e dà il via alla quarta e ultima sezione del live. Suona il suo unico inedito Galleggiare, brano corposo, fitto di suoni e strimpellate di chitarra dove l’amore e i sentimenti che porta con sé fanno da protagonista. In questo ultimo atto ascoltiamo quei brani che sono delle pietre miliari per quella generazione che raccontava il suo sentire sui muri delle città e dei tanto detestati paesi di provincia, dove leggevamo «Ti proteggerò dalle notti insonni, dalla sociopatia di tutti questi giorni, ti spiegherò i sentimenti, che ripiegherò nella stanza con te» di Con i chilometri contro. Sotto palco ci si emoziona, si perde la voce e ci si abbraccia, mentre nell’iride ritorna impresso un ricordo che non è più doloroso come prima, ma carico di splendore. Con Ottobre come settembre si chiude il live, dopo aver intonato più volte – anche a cappella – il ritornello senza tempo «è arrivata l’alba amore mio», lasciandosi cullare dai suoni e portando le braccia in alto in un canto liberatorio.

Gli artisti scendono dal palco ed è veramente finita, eppure nell’aria rimane statica quell’atmosfera di incanto e pienezza d’animo. Perché L’Orso è sempre stato anche questo, un boccone dolce e amaro fatto di ritornelli che trafiggono e briose melodie. Resta la certezza di aver vissuto qualcosa che quasi sicuramente non ricapiterà più. Colmi di tenerezza usciamo dal locale un po’ più interi di come siamo entrati, perché anche se il tempo ci ha cambiati, per una sera siamo di nuovo tutti ragazzini e ragazzine e forse veramente, per una volta, il tempo ci ha ripagati.

 

foto di Simone Tilocca

Matilde Milano

Collezionista seriale di dischi e di qualsiasi opera occupi dello spazio. Parlo smodatamente di musica, concerti e questioni che possono trasformarsi in una digressione inesauribile. Industrial al mattino, folk la sera.

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