Loading

Ranch: il caos calcolato di un Salmo in mutazione

Ranch è il disco più poliedrico e radicale di Salmo: un viaggio tra rap, techno, country e cantautorato, dove l’artista sfida l’industria e le aspettative. Niente hit, solo verità. Un’opera cruda e libera, chiusa da una traccia-manifesto che urla indipendenza


Salmo non è mai stato un artista prevedibile. Dall’esordio con The Island Chainsaw Massacre (2011) fino all’esplosione definitiva con Hellvisback (2016) e il successo commerciale di Playlist (2018), l’artista ha sempre dimostrato una capacità rara nel panorama rap italiano, quella di fondere l’attitudine hardcore con un’estetica sonora e visiva mai banale, contaminata da metal, elettronica e suggestioni cinematografiche. Con Flop (2021), Salmo ha poi toccato corde più intime, seppure con l’energia di sempre, preannunciando forse quello che oggi, con Ranch, appare come un vero punto di svolta.

Ranch è un disco poliedrico, difficile da definire con un solo genere e proprio in questo risiede la sua forza. È un lavoro in cui convivono anime diverse, quasi in lotta tra loro: la chitarra acustica dei cantautori, i synth spigolosi dell’hardtechno, le atmosfere country, le incursioni post-punk e ovviamente il rap. Salmo non ha paura di smontare le sue stesse fondamenta artistiche, proponendo un album che suona come un campo di battaglia emotivo e stilistico, un rodeo sonoro dove ogni brano è un toro diverso da domare.

L’apice sperimentale si raggiunge con Fuori controllo, in collaborazione con Luca Agnelli, un brano che si abbandona all’hardtechno più cupa e martellante, in netto contrasto con l’impianto più tradizionale di altri pezzi. È un Salmo che sfida le aspettative del pubblico con un pezzo che potrebbe tranquillamente suonare in un rave di Berlino più che in una playlist rap. All’estremo opposto troviamo Incapace, traccia struggente e minimale, in cui la voce di Salmo è accompagnata unicamente da una chitarra acustica. Una confessione nuda, quasi sussurrata, che ricorda i grandi cantautori italiani e mostra un lato dell’artista raramente emerso in passato.

A testimonianza del legame profondo con le radici del genere, Salmo rende anche omaggio alla storia del rap italiano nella traccia Bye Bye, in featuring con Kaos – leggenda vivente degli anni ’90 –, dando vita a un incontro generazionale che profuma di rispetto e memoria storica. È un tributo consapevole, realizzato con intelligenza e stile, che conferma come Ranch sia anche un disco che riflette sulla cultura hip-hop senza tuttavia esserne prigioniero.

La cifra dominante dell’album è però un cambiamento di tono evidente. Salmo è ancora cattivo, certo, l’aggressività verbale e l’ironia corrosiva non mancano ma si percepisce una stanchezza di fondo, un senso di rassegnazione che permea molti testi. Il disincanto ha preso il posto della rabbia cieca, la lucidità ha sostituito la furia. Questa trasformazione non rende Ranch meno potente, anzi, lo rende più stratificato, più maturo. I testi sono ricchi di immagini forti, spesso sarcastiche, ma carichi anche di amarezza e consapevolezza. Salmo si mette a nudo, senza rinunciare alla sua vena iconoclasta, ma con un nuovo senso del limite e della fragilità.

È chiaro ormai che al rapper non interessa più creare la hit perfetta. Non rincorre classifiche né algoritmi, Ranch è l’espressione pura di ciò che ha dentro, senza filtri né compromessi. E il raro privilegio di Salmo è quello di poterlo fare in modo sensato e vero, con una lucidità artistica che pochi in Italia possono permettersi. Musicalmente, la varietà è impressionante: quest’album sembra una playlist schizofrenica e coerente allo stesso tempo, capace di tenere insieme momenti di pura energia con altri di riflessione malinconica. Il lavoro di produzione è curato nei minimi dettagli e ogni scelta sonora appare funzionale alla narrazione emotiva dell’album. La libertà stilistica di Salmo, qui più che mai, diventa la sua vera cifra autoriale.

L’emblema perfetto di questo caos controllato è l’ultima traccia, Titoli di coda, un brano di circa otto minuti che sintetizza tutta l’anima di Ranch. È una traccia volutamente disordinata, che cambia stile continuamente, come a dimostrare che Salmo può affrontare qualsiasi genere e farlo meglio di molti artisti che lo praticano da una vita. Ma non è solo un esercizio di stile, è un pezzo metanarrativo, incorniciato da una conversazione tra il rapper e un’altra versione di sé stesso, che interpreta la voce dell’industria discografica italiana. Un alter ego grottesco, caricaturale, che interviene a più riprese commentando negativamente la canzone, giudicandola sotto molteplici aspetti. È il momento in cui il disco si rivela completamente; non è solo musica, è una dichiarazione d’intenti, una presa di posizione netta contro ogni compromesso artistico.

Non è un disco facile e sicuramente dividerà il pubblico. Chi si aspetta il Salmo di 1984 o Il cielo nella stanza potrebbe restare spiazzato, ma chi è disposto a seguire il suo autore in questo viaggio irregolare e spesso scomodo, troverà in Ranch un lavoro coraggioso, autentico e profondamente umano. È l’ennesima metamorfosi di un artista che ha fatto della non appartenenza il suo tratto distintivo, e che oggi sembra più che mai intenzionato a non dare al pubblico ciò che vuole, ma ciò che lui sente di dover dire. E forse, in un panorama musicale sempre più omologato, è proprio questo l’atto più radicale.

Ludovica Monte

Anche detta Fragola Brutale, classe 1996, romana fino al midollo. Sul comodino ho il Manifesto Anarchico da leggere come favola della buona notte e nel portafoglio un santino di GG Allin. Amo andare ai concerti, stare ore in libreria, scrivere ed essere polemica. Il mio film preferito è La Haine.

Loading
svg
Navigazione Rapida
  • 01

    Ranch: il caos calcolato di un Salmo in mutazione