Primo album registrato unicamente con i loro sforzi economici e tecnici, Pulsar è il motore di una band pronta a conquistare le vette della musica mondiale
Riuscire a rompere il muro di gomma dell’industria richiede anche un gran tempismo: se L’Impératrice ha avuto un grande riscontro mondiale dopo il tour che promuoveva il secondo album Tako Tsubo (2021), è anche grazie al gusto del pubblico, sempre più interessato alla cultura del clubbing e dalla riscoperta dei più disparati generi della dance. Ne sono la prova alcune scelte stilistiche delle più grandi popstar che vertono sempre più verso un gusto mirato al ballo e all’aggregazione collettiva. Complice anche la diversità linguistica, protagonista in Pulsar, terzo nuovo progetto, che a differenza di quanto si pensi allarga gli orizzonti musicali della band senza intaccare l’autenticità iniziale.
La questione del linguaggio l’avevano già affrontata nei primi singoli. Il gruppo parigino fece per l’appunto una versione di Matahari (2018), il loro primo album, totalmente in inglese: un’operazione che avrebbe dovuto accattivare gli ascoltatori esteri, ma che in realtà non portò alcuna risposta importante. Pulsar insegna dunque l’autenticità, senza mai disdegnare l’incontro con l’altro. Forse combacia con questo la scelta da parte della band di produrre unicamente da sé l’intero album, quasi a rifiutare la mediazione del comparto produttivo, scegliendo invece di sporcarsi le mani con la propria materia.
Cosmogonie, Me Da Igual, Amour Ex Machina che viaggiano tra jazz e pop, sono riconoscibili e molto più prevedibili nella composizione rispetto ai feat, che invece ospitano nuove invettive: Sweet & Sublime è un inno all’amicizia e alla fedeltà, che vede il rapper Eric The Architect destreggiarsi benissimo tra testo rappato e basi funk; Any Way con Maggie Rogers suona come il soul di Sade, che mischiato alla voce di Flore dà vita ad armonizzazioni vocali che ricordano vagamente le sorelle Ann e Nancy WIlson, ma inserite in un contesto disco anni Settanta. Non a caso cito gli Hearts, perché sono parecchi i riferimenti di quell’epoca in cui funk, disco e rock si mescolavano alle sonorità della prima vaporwave. Girl! e Deja-vue ci riportano a quell’epoca, facendo però del loro sound inconfondibile una buona base. Notare nel caso di Deja-vue un palese plagio – ma in buona fede – a Georgy Porgy dei Toto.
La disco è presente e viva in questo album: non passa inosservato il citazionismo di Danza Marilù, in cui sono palesi i riferimenti a Pino D’Angiò e alla italo-disco degli anni Ottanta. La track vede inoltre la collaborazione di Fabiana Martone, voce e creatrice del gruppo partenopeo Nu Genea. Sono per l’appunto complementari ma allo stesso tempo uniche la voce di Flore, che canta in italiano, e quella di Fabiana, sicura e riconoscibile. Pulsar, con un testo metaforico che dimostra capacità di scrittura, ci propone un finale di album jazz sempre fedele ai toni spaziali e ultra stellari dell’intero progetto.
Pulsar ha solo una pecca: il citazionismo e la rivisitazione ripetuta in ogni canzone lascia un po’ a desiderare, rendendo quelle tracce senza featuring quasi ripetitive. Gli ospiti in questo album sembrano lavorare sulla band e non con la band; a volte sembrano cambiare la rotta dell’album intero. Non è una cosa negativa, anzi per niente. Pulsar si identifica, e si erge come album maturo fino ad ora, proprio per la sperimentazione musicale e libera, svincolata da gerarchie produttive e limiti linguistici, che però sembra fermarsi a volte sul sicuro. Ma confidiamo nell’eleganza e nel tocco de L’Imperatrice, che tanto ci piace e tanto ci saprà sicuramente sorprendere in futuro.