Erlend Øye e La Comitiva, in occasione del tour promozionale del loro primo album, approdano a Torino portando la loro essenza fatta di spontaneità e naturalezza. In un concerto che sa di estate, Erlend – con il suo italiano dolce e sudato e le sue mosse scoordinate e affascinanti – ci insegna il valore della leggerezza
È il 2001 quando Erlend Oye si innamora. È un colpo di fulmine. Ma in amore ognuno ha i suoi tempi, si sa. Così, passano undici anni prima che si possano celebrare le nozze tra l’anima dei Kings Of Convenience e la sua sposa. Una sposa che, però, non è una singola persona: è un temperamento, una cultura, un modo di socializzare, di mangiare e di vivere. Stiamo parlando dell’Italia, più in particolare della Sicilia, che è forse la terra più passionale dello stivale, la più caratteristica, focosa e tipica.
Nel 2012, Erlend acquista casa e si trasferisce a Siracusa. Qui, comincia a fare amicizia con le persone del luogo tramite Facebook e subito incontra un trio locale, La Comitiva, composta da Stefano Ortisi, Luigi Orofino e Marco Castello. Dopo poco cominciano a trovarsi per strada, suonando insieme musiche latine e sudamericane.
Ed è così che nasce, quasi per gioco, Erlend Oye e La Comitiva, ora impegnati nel tour promozionale del loro primo album, una raccolta di tutte le canzoni composte dal gruppo in questi anni. Più che un gruppo musicale, La Comitiva è un gruppo di amici, la cui essenza sta nella naturalezza: la naturalezza dello stare insieme, del trovarsi, del mangiare e, ovviamente, del suonare musica assieme.
E così, proprio come un gruppo di amici che si incontrano per strimpellare, ieri sono saliti sul palco dell’Hiroshima Mon Amour di Torino, passando in mezzo al pubblico con le luci accese e gli strumenti in mano. Hanno perso due minuti ad accordare gli strumenti, senza la fretta dell’esibizione e della perfezione. Erlend ha iniziato a parlare con il pubblico, con il suo italiano impacciato e sbilenco ma valorizzato dal fascino della spontaneità e dell’impegno. Poi, è iniziato il concerto.
Ciò che traspare da ogni attimo di questa serata musicale è proprio la dimensione della spontaneità e dell’amicizia che lega la band e che – inevitabilmente – fa breccia nel pubblico: sedotto da un abbraccio di canzoni che non conosce e che tuttavia si ritrova a cantare all’unisono, intonando ritornelli mai sentiti e ballando canzoni sconosciute che non è in grado di ballare.
Poi, dopo un’ora e mezza di ukulele, trombe, chitarre usate come bassi, canzoni un po’ in italiano e un po’ in inglese, il concerto finisce così com’era iniziato: in mezzo al pubblico, stretto attorno al gruppo per intonare un coro che nessuno si esime dal cantare e che accompagna, fino ai camerini, l’uscita di scena della band.
C’è un termine che riassume perfettamente l’anima della Comitiva: leggerezza. Torniamo allora all’inizio di tutto, al colpo di fulmine. Quando Erlend parla del suo incontro con l’Italia, afferma che ciò che lo sorprese di più fu proprio quella sensazione di leggerezza che non riusciva a respirare da nessun’altra parte. Perché se c’è stato un tempo in cui Erlend, per sua stessa ammissione, realizzava musica malinconica e depressa; ora, con La Comitiva, vuole portare nel mondo una musica positiva, d’accompagnamento alla vita.
Del resto lui, con la sua musica e con il suo italiano, con il suo modo di ballare e di muoversi, sembra quasi un novello Calvino. Perché se essere leggeri non vuol dire essere superficiali ma saper planare sulle cose dall’alto, allora Erlend, liberandosi di tutti i macigni che lo opprimevano, sembra planare meglio di chiunque. E a noi, non resta altro che seguirlo. Sciogliere le braccia e le gambe, ballare, cantare, muoverci male e scoordinati per provare, insieme a lui, a spiccare il volo. «Perché non basta il paradiso», ma Erlend e La comitiva sì!