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Pace, amore e libertà: il mondo di Lakecia Benjamin

Lakecia Benjamin è un fiume in piena, una ventata di allegria, un vortice di energia. Insomma, è qualsiasi metafora si possa creare per evocare la forza della Natura, che trascina, sorprende, entusiasma. È una meravigliosa esponente del free jazz, che gira il mondo urlando attraverso il suo sax messaggi di amore, pace e libertà. L’abbiamo ammirata dal vivo al Teatro Colosseo di Torino, nell’ambito del Torino Jazz Festival


«La musica jazz è un elemento comunitario. Esiste laddove c’è unione tra le persone». È il manifesto artistico di Lakecia Benjamin, sassofonista, arrangiatrice e compositrice statunitense, che con l’esibizione al Teatro Colosseo, inserita nel calendario del Torino Jazz Festival, ha di fatto creato una nuova comunità di fedelissimi. Al caro e vecchio jazz – certamente – ma anche e soprattutto a questa artista newyorkese, che ha conquistato tutti con il suo eclettismo, la sua profondità espressiva, l’indiscutibile talento e l’entusiasmo smisurato. Anzi, la presa bene, come si direbbe nello sguaiato slang diffuso sotto la Mole. Lakecia ti sorride, ammicca («cerco un marito, magari italiano, c’è il teatro pieno, possibile che non ce ne sia uno per me?»), scherza con la band, manda messaggi di pace, di libertà, di fiducia nel prossimo. Parla di diritti civili, poi chiama le mani al cielo – un po’ rockstar, un po’ predicatrice –, vuole che il ritmo si propaghi dal palco alla platea, financo in galleria. «Celebriamo la gioia stasera. Celebriamo l’amore e la luce. E l’unità e la pace. E il potere. E la libertà per tutti». Vuole che siano tutti protagonisti, tutti parte della stessa meravigliosa festa che è la musica.

Una musica che è entrata nella sua vita molto presto. Cresciuta nel quartiere di Washington Heights a Manhattan, ha cominciato a dilettarsi con il flauto dolce alle elementari e scrivere le prime canzoni già alle scuole medie. Poi l’ammissione alla Fiorello LaGuardia High School for the Performing Arts, dove ci fu l’incontro folgorante con il sassofono, divenuto il suo inseparabile compagno per la vita durante gli anni di frequentazione del programma jazz alla New School University di New York. È qui che surge il nettare di mostri sacri del jazz della risma di Billy Harper, Reggie Workman, Buster Williams e soprattutto Gary Bartz, che diventerà il suo mentore e la sottoporrà a estenuanti allenamenti tecnici, facendola appassionare visceralmente alla musica di Charlie Parker, John Coltrane e Jackie McLean.

Poi di strada, la ragazza, ne ha fatta parecchia. Suonando ovunque, inserendo il suo sax contralto anche in contesti apparentemente lontani come il rap e la dance latinoamericana, condividendo il palco con Missy Elliott, Alicia Keys e Anita Baker, collaborando con i migliori jazzisti di questa e delle generazioni passate, tra cui l’ex batterista di Coltrane Rashied Ali, la David Murray Big Band, la cantante Vanessa Rubin e il chitarrista James Blood Ulmer.

Lakecia è arrivata a Torino con i gradi di star, forte anche delle tre nomination ai Grammy Awards 2024 per l’album Phoenix, uscito ad inizio 2023 e successivamente rivisitato in chiave live con il titolo Phoenix Reimagined. Un titolo che evoca la rinascita della donna, più che dell’artista, considerata la lunga convalescenza e il faticoso recupero dopo l’incidente stradale in cui rimase coinvolta nel 2021, di ritorno da un concerto a Cleveland. La sua auto uscì di strada e si incagliò in un canale di scolo in una zona boschiva: ferite multiple e una brutta frattura alla mascella. Un incubo per tutti, figurarsi per chi suona uno strumento a fiato.

Ecco perché, dopo quella brutta parentesi, Lackecia Benjamin è tornata ancora più entusiasta e desiderosa di trasmettere a tutti quanto bello sia vivere godendo delle gioie quotidiane e dell’amore delle persone. Nel Phoenix Reimagined World Tour, di cui Torino è stata la seconda di tre date italiane, dopo Roma e prima del Ravenna Festival del prossimo 29 giugno, ha radunato un quartetto di “professori”. A cominciare da John Chin, al contempo compositore raffinato e spettacolare improvvisatore, uno in grado di saltellare dal piano alla tastiera nel medesimo brano, attingendo dal un vasto bagaglio artistico che spazia tra jazz, blues, pop e tutto ciò che ha a che fare con la tradizione della Western music. Al contrabbasso, Elias Bailey, un ex giovane prodigio. Ha iniziato la carriera professionale a 15 anni e ha fatto parte del Freddy Cole Quartet per quasi due decenni, durante i quali ha diviso il palco con il chitarrista Randy Napoleon e diversi batteristi di fama, tra cui Curtis Boyd e Quentin Baxter. Apparentemente il più composto della compagnia, d’un tratto si fa capopopolo invocando ad ampi cenni il supporto del Colosseo nel bel mezzo di un clamoroso solo della frontwoman.

Infine, alla batteria, Dorian “Hurricane” Phelps, figlio del leggendario Kenny. È il più giovane della compagnia e Lakecia non perde l’occasione per metterlo in mezzo: «Dovete sapere che il ragazzo è un po’ nervoso, è il suo primo tour, ha cominciato da poco, è lontano da casa. Deve stare in guardia, niente fumo, niente drink, mi raccomando anche con voi donne del pubblico: don’t touch him, ok?». Il novellino, però, non è mica tanto tale. Suona con una semplicità disarmante, dialoga con tutti impreziosendone le parti, alterna carezze a dimostrazioni fisiche al limite delle potenzialità umane, dove le braccia diventano quasi invisibili per la rapidità di esecuzione dei colpi, al punto che se ti avvicini, probabilmente, percepisci lo spostamento d’aria. Ora si spiega il soprannome.

Un sodalizio di competenze superiori che ha prodotto un’esibizione che ha trascinato oltremisura il pubblico torinese, entrato in sala con la tipica morigeratezza sabauda, salvo poi ritrovarsi a saltare, ballare e agitarsi tra le eleganti – e a questo punto intralcianti – poltroncine rosse. Un bel frullato di jazz, rhythm and blues, funk e persino hip hop, perché Lakecia, quando si concede una pausa dal sax, attinge dalla black poetry e riesce a sorprenderci con delle barre serrate e un flow che farebbe invidia a molti illustri colleghi esperti del settore. Nel mezzo, numerosi omaggi, come l’immancabile Trane di John Coltrane e un finale romantico che riprende il tema di Isn’t She Lovely, capolavoro di Steve Wonder. Che poi, a pensarci, trattasi di scelta para-arguta, perché ti ritrovi fuori dal teatro che ancora la fischietti. E dentro la tua testa ripensi a quanto hai appena ascoltato e ti chiedi: non è adorabile?

 

foto di Michela Talamucci

Attila J.L. Grieco

Giornalista, cantante, esperto di comunicazione. Ma ho anche dei pregi, come essere riuscito a farmi battezzare Attila, nascere nell'anno di uscita dell'omonimo e celeberrimo film e condividere con il suo protagonista capigliatura, giorno del compleanno e squadra del cuore.

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