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Non abbiamo mai smesso di amare i Piccoli fragilissimi film di Paolo Benvegnù

Dopo 20 anni Paolo Benvegnù ripropone le canzoni che hanno fatto parte del suo primo album, sempreverde e senza tempo, che a dispetto del titolo ha messo radici forti e resistenti nel cuore di una generazione di ascoltatori. I Piccoli fragilissimi film ritornano a vivere con un album ricco di ospiti e con un tour che ripercorre quelle canzoni divenute negli anni dei veri e propri classici dell’indie anni zero, anch’esso piccolo e fragilissimo, ma assolutamente prezioso. Siamo andati ad ascoltare il concerto al Teatro Superga di Nichelino (Torino)


Piccoli fragilissimi film di Paolo Benvegnù è stato l’ultimo grande album a unire la generazione di ascoltatori cresciuta con la scena rock italiana anni ’90. È stato l’album che ha espresso qualcosa del tipo l’era delle band alternative è finita, ora siamo cantautori e scriviamo canzoni importanti. Era il 2004 – Max Collini direbbe «anni zero, indie vero»  sui blog si parlava di Perturbazione, Virginiana Miller, Non voglio che Clara, Marta sui Tubi, Baustelle. L’anno successivo avrebbero esordito gli Offlaga Disco Pax, l’anno ancora dopo Dente. Una piccola rivoluzione era stata compiuta, né vinta né persa: nel decennio precedente artisti indigesti al macello discografico avevano fatto breccia e tracciato una strada, il pubblico aveva iniziato a riconoscersi e ad annusarsi. Per gli uni e per gli altri era arrivato il tempo di scoprirsi maturi ed esigenti nella ricerca artistica, più che istintivi e massimalisti negli impulsi sonici – poi beh, la musica è andata in una direzione un po’ diversa, ma questa è un’altra storia –.

Ho avuto la fortuna di vedere dal vivo, all’epoca, uno dei concerti in cui Paolo Benvegnù presentava il suo primo album da solista. Il Circolo La Peste, ricavato da un edificio in disuso, era pieno e gremito di persone: l’indie vero voleva dire anche inventare palchi là dove i palchi erano impensabili. Si respirava tanta attesa per il ritorno sulle scene di un artista che, come autore e musicista negli Scisma, era stato uno dei personaggi più in vista per gli appassionati che seguivano band come Afterhours, Marlene Kuntz, Estra, C.S.I. e tanti altri. In seguito allo scioglimento degli Scisma, l’artista lombardo – trasferitosi nel frattempo in Toscana – mancava dal vivo da tanto tempo, nessuno sapeva bene cosa aspettarsi, ma si scommetteva che sarebbe stato un bel po’ emozionante.  

L’impatto di quel concerto, per me e per i tanti che erano presenti in quel momento e in quel periodo, è stato enorme: una dopo l’altra, quelle canzoni miravano dritte al cuore. «Io e te siamo quei venti che cambiano i deserti», «non amiamo più l’amore e scopiamo per capire di non esser soli», «ho visto molte cose spegnersi, rivoluzioni spente nel fair-play», ciascun verso era praticamente un inno interiore che scorticava dentro. Purezza artistica, coraggio nel calarsi in nuovi livelli di profondità, «vivere per il solo senso che ha»: Paolo Benvegnù si affermava come l’artista senza compromessi che non ha mai smesso di essere. 

Il suo album d’esordio è stato accolto da una passione talmente forte che è diventato uno di quei dischi che meritano la celebrazione dei 20 anni. Piccoli fragilissimi film già il titolo, poesia a sé – è stato pubblicato quest’anno in una versione reloaded con alcuni inediti e tanti ospiti: Paolo Fresu, Ermal Meta, Appino, Motta, La Rappresentante di Lista, Piero Pelù, Giulio Casale, Dente, Malika Ayane, Irene Grandi, Tosca, Giovanni Truppi, Fast Animals And Slow Kids, Lamante, Max Collini. Non poteva mancare un giro di concerti, i quali riescono nell’impresa smuovere di casa gli ex venti/trentenni che non hanno mai smesso di essere ragazzi degli anni zero. Se avessimo un registro con i nomi e cognomi dei frequentatori abituali dei concerti del 2004, potremmo fare l’appello e stasera in tanti risponderebbero presente.

Il Teatro Superga a Nichelino è una location di certo più elegante degli avventurosi circoli di un tempo, più comoda per le nostre schiene, più agevole per i nostri orari. Il palco ha una scenografia che richiama i film: sagome di pellicole e bobine sono collocate tra amplificatori, strumenti e microfoni. Entra la band e con essa Paolo Benvegnù, sempre in giacca, camicia e cravatta, look che ha sempre adoperato dal vivo e che è rappresentato dalla copertina rossa dell’album originale, lievemente ingrigita nell’edizione reloaded in vendita al banco merch. Ad accompagnare l’ingresso dei musicisti è la voce di Frank Sinatra in I’ve Got You Under My Skin e infatti il pezzo con cui attacca la band è Giornalismo uno dei lati B meno conosciuti – in cui The Voice è nominato.

Con Il mare verticale, Io e te e Il sentimento delle cose iniziano i pezzi veri e propri dell’album storico, talvolta diversi negli arrangiamenti, ma non nell’anima. Nessuno dei nuovi featuring appare sul palco, ma non se ne sente la mancanza: onestamente certe canzoni possono essere cantate solo da Benvegnù. Tra gli inediti, Le gioie minime – interpretata nel disco assieme a Irene Grandi – è una canzone stupenda.

Come spesso accade, quando Benvegnù prende la parola per un piccolo monologo tra una canzone e l’altra, proietta gli ascoltatori in un mondo dell’assurdo in cui paradossi, improvvisazioni e calembour producono una centrifuga di umorismo irresistibile. A un nuovo ascoltatore potrebbe sembrare tanto sofferente quando canta quanto esilarante quando parla, poi capisci che sono due facce della stessa medaglia. Il bassista Luca Baldini – il più longevo nella band formata da cinque elementi – è la sua spalla comica dal toscanissimo accento. Siamo in teatro e le tempistiche hanno cadenze obbligate – in altri luoghi più informali i monologhi andrebbero avanti per delle ore –. 

Oltre alla scenografia ispirata a Piccoli fragilissimi film, a richiamare il tema cinematografico c’è un intermezzo audio con un dialogo tratto dal film Acque Del Sud del 1944 con Humphrey Bogart e Walter Brennan, regia di Howard Hawks, che risuona mentre la band si siede immobile a leggere un giornale. L’ora e mezza di concerto conta anche una cover, quella di Cosa sono le nuvole di Domenico Modugno, che Benvegnù aveva registrato nell’EP 14-19

E poi non mancano Suggestionabili, Quando passa lei, Cerchi nell’acqua, È solo un sogno e tutte le altre canzoni dello storico album, ognuna film piccolo e fragilissimo, eppure raro e prezioso. Un lunghissimo applauso saluta l’arrivederci della band – a memoria non ricordo di aver mai sentito un applauso così lungo alla fine di un live –, le luci si accendono e la serata finisce. Tanta esitazione nell’alzarsi dalle rosse poltrone ribaltabili del teatro: non è la comodità che ci fa rimanere, ma la speranza che qualcosa continui ancora, come al cinema aspettare una sorpresa dopo i titoli di coda.

 

foto di Natalia Menotti

Paolo Albera

Scrivo di musica per chi non legge di musica.

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