Il movimento queer detiene uno spazio molto importante all’interno della musica. David Bowie, Prince, Grace Jones, Anohni, Sophie e Arca sono solo alcune delle personalità che si impegnano o si sono impegnate per sovvertire, attraverso la loro musica, il binarismo di genere e parlare di identità non convenzionali. Generi come l’homocore e il queercore sono stati e sono tutt’ora lotte politiche che trasmettono un messaggio preciso: la musica queer apre dei varchi, trasformando l’invisibile in visibile
La musica ha sempre rappresentato nella storia un potente mezzo di espressione, resistenza e affermazione identitaria. Tra le molteplici lotte politiche e sociali, anche il movimento queer detiene uno spazio molto importante nella musica a livello espressivo, che sta diventando sempre più grande.
Il termine queer ha origine anglosassone e, nel suo significato più etimologico, indica qualcosa di sessualmente, etnicamente o socialmente eccentrico rispetto alla definizione di normalità data dalla cultura di riferimento. Inoltre, sembrerebbe che il termine anglofono, a sua volta, derivi dal tedesco quer che significa di traverso, diagonale. La parola queer comincia a diffondersi solo all’inizio degli anni Novanta nel campo degli studi sulla sessualità, ma la sua primissima apparizione viene fatta risalire, in ambito accademico, a un numero speciale della rivista Differences: Queer Theory. Gay and Lesbian sexualities, curato da Teresa De Lauretis.
De Lauretis porta la teoria queer nel mondo delle scienze sociali veicolando un messaggio rivoluzionario in quel periodo storico: rielaborare o reinventare i termini della nostra sessualità e costruire un nuovo modo di pensare al sessuale. Così, questa parola diventa inclusiva e rappresentativa di tutte quelle persone che non rientrano in una categoria binaria e che, fino a quel momento, erano state escluse dalle narrazioni storiche e sociali.
Diverse icone hanno contribuito a diffondere un messaggio di fluidità nella storia della musica: artisti come David Bowie, Prince o Grace Jones si sono impegnati per sovvertire il binarismo di genere e rappresentare identità non conformi allo standard imposto dalla società, suscitando nel grande pubblico fascino e ammirazione ma anche critiche e odio. In questo contesto la musica, in quanto mezzo di espressione di sé, diventa un altro dei modi in cui il movimento queer può non solo portare avanti le proprie lotte, ma anche trovare un vero e proprio linguaggio per comunicare.
Ad oggi, personalità artistiche apertamente queer come Anohni, Sophie – tragicamente scomparsa nel 2021 – o Arca diffondono una musica basata sull’identità, sui percorsi di transizione di genere e sulla condizione di fragilità emotiva in cui si ritrovano molte persone queer. Ma non solo, alcuni studiosi stanno iniziando a parlare anche di queering del suono, un tipo di composizione basato sull’uso di dissonanze, ambiguità tonali, strutture non lineari. La queerness si diffonde così anche a livello tecnico, rompendo le regole e rifiutando narrazioni musicali canoniche o patriarcali. Il queering del suono fa capire quanto il movimento queer sia un vero e proprio linguaggio – necessario – che influenza il mondo e che non bada solo a cosa viene detto, ma anche a come viene detto. Ciò che ne consegue è un’aperta sfida alle narrazioni dominanti.
Ma la musica ha messo le sue radici in questo movimento ancora prima delle ricerche accademiche. A metà degli anni ’80 inizia a diffondersi in Canada, Stati Uniti e Regno Unito l‘homocore, un sottogenere del punk e dell’hardcore che prende il nome dall’omonima fanzine underground anarco-punk. La particolarità dell’homocore risiedeva nei suoi testi già apertamente queer, a rappresentanza di una resistenza politica contro l’omofobia, il patriarcato, il sessismo, le norme di genere e il capitalismo. Questo genere musicale si faceva portavoce di un movimento più aggressivo e ribelle rispetto all’attivismo LGBTQIA+. Il nome sarà successivamente sostituito con il termine queercore, giudicato più inclusivo e provocatorio, ascrivibile alla cultura DIY (Do It Yourself), basata su fanzine, film, arti visive e performance.
Ciò che ci insegna il movimento queer, anche a livello musicale, è che il linguaggio è di fondamentale importanza per guidare un cambiamento. Il linguaggio queer è mezzo espressivo di apertura, poiché attraverso nuove parole veicola la nascita di nuove visioni e nuovi schemi, che aprono di fatto a un nuovo modo di fare musica. Tutto ciò che va controcorrente, che ribalta le convenzioni, porta con sé un’innovazione: un linguaggio di questo tipo è un linguaggio che libera. In un mondo basato su norme e confini, la musica queer apre dei varchi, trasformando l’invisibile in presenza e l’impensabile in ascolto concreto. Il potere trasformativo di una parola, un suono o un’idea è in grado di riscrivere il mondo, nota dopo nota.