A quattro anni dal loro primo EP Forever at Last, gli HighSchool tornano con l’album di debutto attraverso quel caratteristico suono post-punk, dance e new-wave tanto caro a loro. Tra passato e modernizzazione, la band australiana confeziona un disco pieno di ottimi spunti che lasciano intravedere già un’identità solida e una maturazione acquisita: elementi che urlano come il futuro sia dalla loro parte
Tra sintetizzatori vecchio stampo, ritmi coinvolgenti e testi romantici, gli HighSchool confezionano un album di debutto sotto PIAS che arriva dopo due EP di alto livello: Forever At Last e Accelerator. Due piccoli progetti che hanno fatto intravedere, da parte della band, grandi capacità nel riattualizzare la musica goth e post-punk in chiave più jangle, new-wave e dance, tirandola fuori dal semplice citazionismo – comunque palese –, rendendola accattivante, divertente e, soprattutto, incredibilmente fresca. Si corra a sentire New York, Paris and London, De Facto oppure Mondo Cane per credere.
Ma, prima di tutto, chi sono gli HighSchool? Questo gruppo nasce a Melbourne nel pieno del lockdown, i membri principali sono Rory Trobbiani e Luke Scott. I due hanno cominciato a muoversi sul suolo australiano ma presto hanno capito che per crescere avevano bisogno di ben altra aria, di un posto in cui musica come la loro potesse germogliare ed esplodere naturalmente. A Londra iniziano ad acquisire popolarità e, detto fatto, esplodono; questo loro primo LP self-titled è la summa di un percorso ben studiato, l’apice, ma anche l’inizio, del loro viaggio. La loro musica è indubbiamente un calderone di influenze (dai The Smiths ai Joy Division) ma in loro c’è anche quell’attitudine indie sleaze e lo-fi – sulla scia di questo recente revival estetico anni 2000 – che li rende accattivanti, belli da ascoltare (meglio se con un iPod) ma anche da vedere.
Come suona quindi quest’album? Si inizia con Dipped: riff di chitarra elettrica, basso in fade-in e drum-machine fanno da preludio all’arrivo della distorta e ovattata voce di Rory Trobbiani, che ricorda la versione più soft e meno tagliente di un giovane Julian Casablancas. La canzone è movimentata, di facile presa, con un ritornello catchy e melodico che induce a una spensieratezza su cui ci si può solamente ballare sopra. Lo stesso si può dire per Sony Ericsson e 149 in cui, addirittura, il ritmo è ancora più trascinante grazie a un basso che, insieme alla drum-machine, è protagonista assoluto. Chaplins e American Aunty rallentano i giri del motore: nella prima c’è comunque una drum-machine piuttosto martellante che, però, viene controbilanciata da un impianto complessivamente più riflessivo e sognante; nella seconda ci si trova come in un tenero e romantico prom, il ballo di fine anno scolastico, in cui chitarre acustiche ed elettriche conducono le danze sotto l’effetto di un dolce riverbero. Peter’s room, One Lucky Man e Making Out at the Skatepark flirtano con l’indie rock, facendo echeggiare ancora di più, nella voce di Trobbiani, quella vaga somiglianza con Casablancas accennata precedentemente.
Trope, Rhinoplasty e Best and Fairest sono altri solidi brani che contribuiscono a dare spessore a un album che si compie pienamente nella sua closing track: Colt. Questa è una canzone uscita ben 2 anni fa – ancora prima del secondo EP Accelerator – e che su Spotify conta anche un nutrito numero di ascolti, tanto da essere uno dei brani più ascoltati in assoluto della band. In questo caso ci si trova in pieno territorio post-punk, con potenti sintetizzatori anni ’80 che sovrastano l’intero brano. È un palese salto nel tempo che, se si guarda al resto dell’album, nonostante questo abbia come costante riferimento quel periodo, può sembrare anche piuttosto brusco, eppure funziona.
Gli HighSchool ci fanno tornare a scuola raccontandoci di connessioni amorose nell’era del digitale e desideri logoranti. Questo loro debutto è un inno alla gioventù, alla spensieratezza e alla nostalgia, a quando tutto era emozionante perché non si aveva una direzione ben precisa se non quella di voler vivere il più possibile. Questi due ragazzi hanno le idee chiare, a partire dalla loro musica fino a tutta quanta l’estetica di contorno: gli HighSchool rispondono presente all’appello, realizzando uno degli album sicuramente più interessanti del 2025.

