I Joy Division sono stati tra i fondatori indiscussi del post punk, ma la loro fama ruota anche attorno alla tragica storia del frontman. Ian Curtis era un artista che portava il peso di una diagnosi di epilessia e di un notevole dolore sia fisico che psicologico. La sua vita fa luce su diversi aspetti fondamentali che riguardano la salute mentale, uno fra tutti, l’importanza di avere un sostegno dall’ambiente che ci circonda
È il 18 maggio del 1980 quando Ian Curtis, frontman dei Joy Division, viene ritrovato senza vita nella sua casa a Macclesfield dalla moglie. Ian ha contribuito alla nascita del post punk ma, purtroppo, non ha avuto la fortuna di vederlo crescere.
I Joy Division nascono a Manchester nel 1977, proprio nel periodo storico in cui il punk stava esplodendo. La poetica del frontman, Ian Curtis, unita a sonorità cupe contribuisce però a far emergere nella scena inglese un nuovo genere: il post punk. Da questo momento, chiunque voglia fare questo tipo di musica avrà come punto di riferimento i Joy Division.
Ian Curtis nasce a Stretford, vicino a Manchester, nel 1956, ma cresce e vive a Macclesfield. Appassionato di storia e dei poeti romantici, si avvicina alla musica affascinato dalla scena punk. Ian era una persona gentile e introversa, un poeta prima di essere un musicista. La vita di Curtis subisce due potenti scossoni che influenzeranno notevolmente la sua salute mentale: il successo della band e la diagnosi di epilessia tonico-clonica.
L’epilessia tonico-clonica è un disturbo neurologico del sistema nervoso centrale caratterizzato da un’interruzione dell’attività delle cellule nervose cerebrali, la quale causa delle convulsioni chiamate crisi epilettiche. Queste crisi si dividono in convulsioni focali – il danno interessa una specifica area del cervello – o convulsioni generalizzate – quando il danno riguarda l’intera area del cervello –. Le convulsioni generalizzate si dividono a loro volta in altri tipi di crisi in base alla loro durata e ai sintomi. Le crisi di Ian Curtis erano convulsioni generalizzate di tipo tonico-cloniche, le più potenti. La durata di queste crisi varia dai cinque ai dieci minuti ed esse comprendono: intense contrazioni di tutto il corpo, convulsioni, respirazione rumorosa e possibile perdita del controllo degli sfinteri. In più, le persone che le subiscono non hanno memoria di queste crisi.
Ma facciamo un passo indietro. I Joy Division, dopo una serie di concerti e cambiamenti all’interno della band, raggiungono il successo in una data precisa: il 4 marzo del 1979. In questa data, infatti, la band si esibì al Marquee di Londra insieme a un altro gruppo mastodontico per la scena dark, i The Cure. Il gruppo di Manchester cresce a vista d’occhio in fatto di notorietà: pubblica il primo album, prepara un tour e, come già sappiamo, il frontman riceve la diagnosi di epilessia.
Ian Curtis ricevette la diagnosi a 22 anni e, da lì, la sua vita cambiò per sempre, fino a spegnersi in quel fatidico 18 maggio dell’anno successivo. Uno dei fattori che contribuiscono a scatenare le crisi epilettiche sono proprio le luci stroboscopiche dei palchi. Per questo motivo, prima di ogni live, Ian inizia ad avere paura di poter avere una crisi sul palcoscenico.
«Le crisi epilettiche stanno cominciando a spaventarmi. […] A volte temo di uscire di notte per paura di avere una crisi in un locale o in un cinema. Divento più nervoso quando suoniamo per paura che accada. […] Continuo a pensare che un giorno le cose diventeranno così intense che non sarò più in grado di andare avanti»
Dopo la diagnosi, Ian inizia a prendere molti farmaci antiepilettici che attenuano le crisi ma non le annientano. Inizialmente, Curtis cerca di usare la sua condizione come punto di forza, trasformandola in una caratteristica che potesse rendere le sue performance riconoscibili e uniche. Nasce così la famosa epilepsy dance, quella danza scoordinata e sincopata simile a una crisi con cui Ian si esibiva e che, effettivamente, diventò iconica. Nonostante le iniziali strategie di coping, la salute mentale del cantante si stava sgretolando molto velocemente.
Caratterizzato da una personalità già di per sé molto riservata, il leader dei Joy Division si chiude sempre di più in sé stesso, manifestando chiari segni di depressione e tentando una prima volta – senza riuscirci – il suicidio. Non si sa se la depressione fu una conseguenza dei farmaci o una condizione a cui Curtis era già predisposto, ma molto probabilmente si è trattato di una concomitanza di più fattori. Ian voleva fare musica più di ogni altra cosa e i Joy Division si trovavano all’apice del loro successo, ma le crisi erano talmente forti che, nonostante i farmaci, i medici arrivarono a sconsigliargli di proseguire con la sua carriera. Tra i fattori che possono aver contribuito al crollo definitivo di Ian Curtis, possiamo rintracciarne tre: fattori personali, fattori ambientali e fattori farmacologici.
Tra i fattori personali rientrano quelli della personalità. Ian Curtis era descritto come una persona disforica con frequenti sbalzi d’umore, un problema di abuso di sostanze e una tendenza ad oscillare tra manie di grandezza e condotte profondamente autodistruttive. Tra i fattori ambientali rientrano sicuramente i limiti della malattia e la mancanza di un supporto da parte dell’ambiente in cui si trovava, caratterizzato da medici che gli consigliarono di smettere di fare musica e amici che non colsero le sue richieste d’aiuto.
«Una canzone era Isolation. Ricordo di aver sentito “Per favore credimi/sto facendo il meglio che posso”. Ho sentito quel testo e ho solo pensato “sono bellissime parole”. Poi più tardi te ne rendi conto, ca**o, stava parlando di se stesso. Era come, cosa abbiamo fatto? Era un grido d’aiuto?»
L’ultimo fattore è quello farmacologico. Gli antiepilettici sono farmaci che, tra le controindicazioni, causano instabilità emotiva – a cui l’artista era già soggetto –, agitazione, irritabilità, irrequietezza e iperattività. Questi sintomi accompagnarono Ian soprattutto nei suoi ultimi mesi di vita. Le canzoni dei Joy Division, sia nei testi sia nelle melodie, richiamano una profonda sofferenza fisica e psicologica, benché Curtis non abbia mai parlato esplicitamente della sua malattia.
La storia di questo artista – dalla voce baritonale riconoscibile tra mille –, come quella di tanti altri artisti, ci ricorda quanto è importante porre l’attenzione sulla salute mentale dei musicisti. Ian Curtis fu seppellito nella sua città natale, a Macclesfield. La frase di una delle sue canzoni più famose si staglia imponente sulla sua lapide: love will tear us apart – l’amore ci distruggerà tutti.