Un richiamo comunitario all’esserci e farsi sentire. Il live de La rappresentante di lista al Teatro Concordia di Venaria è stata un’immersione emotiva nell’alternative pop. Il loro progetto è riconosciuto come l’emblema artistico della cura, che controverte ogni ottusità politica e mentale, in virtù di un approccio alla musica – e non solo – senza confini né preconcetti di genere
Il freddo ha ormai dichiarato la propria egemonia stagionale, il Teatro Concordia di Venaria si riempie a una velocità che in estate si può soltanto sognare: la fila scorre inesorabile, non c’è tempo per perdersi in chiacchiere; le sigarette si aggrappano esanimi su arti al limite dell’ipotermia. La gente si raccoglie al chiuso per sconfiggere il vento gelido e da subito è inevitabile notare con stupore l’eterogeneità di persone che sono in attesa di godersi il live de La rappresentante di lista. Il loro progetto si porta dietro un alone di queerness che ha un impatto notevole sull’atmosfera pre-concerto: il clima è disteso; i discorsi per ingannare l’attesa anticipano temi sociali che la musica degli headliner ha contribuito a rendere mainstream; età differenti ricercano in essa sensazioni adatte al proprio vissuto; stili appartenenti a culture musicali diverse si fondono, esattamente come il genere musicale protagonista. Un “non genere”, che si sposa bene con il “no-gender” e tanti altri termini inclusivi evocati stasera, che ancora danno fastidio a tante persone. Beh, prima o poi anche loro dovranno accettare la rivoluzione sociale in corso.
Nicolas Zullo apre il live con una formula minimal: chitarra acustica e voce. Il connubio perfetto che, sulle note di vere e proprie storie raccontate, riscalda il pubblico e lo prepara a concentrarsi sulle parole e sull’emotività. Il cantautore presenta alcuni brani del suo ultimo album Credendoti montagna, edito nel 2022 da ibexhouse – che si definisce «un marchio pronto a sostenere le autoproduzioni che riteniamo stimolanti a prescindere dall’estrazione artistica». Il suo stile è asciutto e al contempo intenso, il brano di chiusura Apri lo spazio ne è la prova. È incoraggiante vedere che nel music business c’è ancora chi sceglie di sostenere musica emergente, fregandosene delle dinamiche discografiche. Un altro tassello che compone il puzzle di unicità del tour de LRDL.
Lo show comincia con un solo classico di violino, in accompagnamento all’ingresso di un paio di labbra gonfiabili che campeggeranno sullo sfondo. Ricordano l’iconico intro del The Rocky Horror Picture Show, ma con un sorriso fieramente sbeccato. Sembrano dichiarare il mood del concerto: non esiste errore nella diversità. La band è composta da personalità artistiche già presenti nell’ultima fatica discografica – Giorni Felici, del quale trovate la recensione traccia per traccia qui –: Elisa Zimbardo alla chitarra elettrica; Donato Di Trapani ai synth; Erika Lucchesi ai cori e alla chitarra acustica; Carmelo Drago al basso; Roberto Calabrese alle batterie e, infine, gli estrosi fondatori di questo progetto collettivo, Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina. La formazione è super efficace: il live suona esattamente come il disco.
Con suoni scuri e dal tiro rock, la scaletta parte con le prime quattro tracce del nuovo album. Da La Città Addosso a Parole D?Amore, passando per Je Ne T’Aime Pas Toujours e l’esplosivo singolone Paradiso, che esalta il pubblico e lo ingaggia fino alla successiva title track. A quel punto, la platea diventa l’ottavo componente, battendo le mani a tempo come un’unica entità. Veronica e Dario sono in grado di creare un’interazione organica, senza artefatti di sorta. Sono teatrali e naturali insieme, non si spingono mai oltre la naturale propagazione emotiva della loro musica. Le loro voci si intrecciano perfettamente, con due colori tanto opposti quanto complementari.
C’è spazio per i distorsori alternative in Ho Smesso Di Uscire, del crossover con la loro anima dance con Countdown, ma anche un’incredibile espressività con brani simbolo. Questo Corpo viene presentato come un inno per «chi combatte contro un mondo troppo duro», una canzone da brividi, dove più di una guancia si è rigata di lacrime. La commozione si trasforma poi in un urlo all’unisono con Guardateci tutti: «Guardateci tutti correre, siamo fradici di gioia».
A metà concerto, subito dopo lo sfogo groovy della hit Ciao Ciao, si smonta la scenografia e in sottofondo si sentono estratti televisivi di repertorio. Spogliati di tutto, tornano sul palco Veronica e Dario che – dopo aver preso in prestito una bandiera arcobaleno che richiama alla “PACE”–, eseguono il pezzo a più alto impatto emotivo di tutti: Resistere. Veronica racconta, esalta, abbraccia, dimostrandosi una voce di rara intensità. Sensuale e tagliente, armonica ed esplosiva. Sotto palco la reazione è immediata, il coro dichiara «No armi, no guerra, no violenza» e il grido convinto per una “Palestina libera” ne è il naturale prolungamento. La commozione raggiunge l’apice con Amare, per poi virare su toni più speranzosi con Mondo, fino alle luci strobo e la cassa dritta di Alieno. Dario si dimostra un vero showman – del teatro hanno saputo preservare lo spirito –: corre lungo tutto il palco, incita la folla, la rende reattiva, riesce persino nell’intento di far abbassare l’intera platea per poi farla saltare in piedi al nome della sua controparte femminile. Infine, passa dagli strumenti alla voce, che esplode distorta sul pezzo più punk rock del disco, Cattivo.
Per il bis ci regalano una canzone dalla tipica malinconia sicula, di una conclamata maestria compositiva: Siamo Ospiti. Le frequenze basse risuonano nel corpo e contrastano con una linea melodica acuta, impreziosita dal sassofono di Dario. Prima di chiudere il concerto – con il crescendo emotivo di Mina vagante, riempito dalla voce riverberata di Veronica –, ancor più viscerali rimbombano le sue parole:
«È un momento difficile, anche se stasera sembra tutto scomparire. Viviamo in un mondo pieno di sofferenza. […] Vogliamo mandare una cartolina fortissima fatta di voci: quando si grida in tanti e in tante la voce arriva più forte e si possono cambiare le cose. Questo mondo non ci deve lasciare indifferenti»
Non sento di dover aggiungere altro a questa dichiarazione reazionaria, se non che il vederla tramutarsi in abbracci reciproci e commozione collettiva è un nutrimento per l’anima. Il più bel regalo che possa lasciare un live, la magia primordiale della musica.