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Jan Bang, sperimentare fino all’estasi sonora

Fortemente voluto dalla direzione artistica del Torino Jazz Festival, Jan Bang non ha tradito le attese. Anzi, ha voluto strafare, creando ad hoc uno spettacolo nuovo di zecca e radunando una band di virtuosi provenienti da ogni angolo d’Europa. In scena all’Hiroshima Mon Amour, in collaborazione con Jazz Is Dead, “Alighting” ha tenuto incollato un pubblico giunto in massa, rapito da improvvisi cambi di registri, pause riflessive, sperimentazioni sonore e passaggi di pura estasi mistica


«Quando Stefano Zenni, direttore artistico del Torino Jazz Festival, mi ha invitato a esibirmi a questa manifestazione, dandomi piena libertà espressiva, la mia risposta immediata è stata: sì!». Jan Bang, musicista e produttore di fama internazionale, vate della sperimentazione e della commistione tra jazz ed elettronica, si è messo a disposizione del TJF con l’entusiasmo di un esordiente. Abbiamo detto piena libertà espressiva? Perfetto, chiamo altri cinque musicisti di livello incontrati nel cammino e scrivo un concept live appositamente per la manifestazione. Troppa grazia, Jan!

Al netto della libertà interpretativa, questa è la genesi di Alighting, una live suite di un’ora e mezza in dieci parti, in cui si alternano momenti di virtuosa – talvolta estrema – improvvisazione e parti cantate sulle liriche firmate da Tim Elsenburg, del gruppo britannico Sweet Billy Pilgrim. To alight, ovvero posarsi: «Siamo partiti da una suggestione – si legge nella presentazione ufficiale dello spettacolo – affrontare il tema dell’arresto del tempo e dell’arrivo a destinazione in tempi e luoghi diversi, proprio come fa un uccellino che si posa sul ramo di un vecchio albero».

Presentato all’Hiroshima Mon Amour di Torino nell’ambito del ciclo di eventi legato al Torino Jazz Festival 2025, a sua volta inserito nelle azioni del percorso di candidatura di Torino a Capitale Europea della Cultura 2033, lo show del musicista norvegese ha riscontrato un grande successo di pubblico, probabilmente incuriosito dall’originalità della proposta e dalla prima esibizione ensamble di questo sestetto di virtuosi.

In primis, deus ex machina, Jan Bang da Kristiansand, approdo all’estremo sud della Norvegia e città di grande fermento turistico e culturale, anche grazie al Quart Festival, il più grande festival musicale norvegese. Cresciuto tra un intermezzo di Brahms e un notturno di Chopin suonati dalla mamma pianista, Bang ha lavorato nei primi anni Duemila in un collettivo di produttori chiamato Disclab e diretto da Hans Olav Grøttheim, elemento di spicco di una scena house e techno all’epoca in grande espansione. Producendo e mixando per importanti case discografiche, ecco l’epifania che cambia un’intera carriera: è possibile “far vivere le macchine”, utilizzare le tecniche di studio per creare qualcosa di unico davanti a un pubblico. In due parole, Live Sampling, ovvero utilizzare campionamenti in tempo reale in maniera creativa e sempre diversa da un’esibizione all’altra. Una tecnica che si è poi diffusa a macchia d’olio e trasversalmente tra generi musicali e generazioni di musicisti.

In tal senso, Alighting è una lectio magistralis di Live Sampling. Bang, al centro della scena, ha il pieno comando delle operazioni: nel suo mixer entrano i segnali di tutti i musicisti sul palco e sceglie lui cosa captare, cosa trasformare, cosa enfatizzare. Detta i tempi, alterna registri, crea loop onirici da virgole impercettibili, alza e smorza il pathos a piacimento. Stasera è così, domani chissà: dipende da come si sente l’artista, da cosa viene pervaso, perché lo vedi partecipare con tutto il corpo, in piena trance artistica, un tutt’uno con la consolle che accarezza, svirgola e poi percuote.

Ne beneficiano tutti, a partire da Sanem Kalfa, violoncellista e partner vocale. Turca di nascita e olandese di adozione, Bang l’ha scoperta durante un’esibizione nel suo feudo artistico, ovvero il North Sea Round Town, il festival jazz di Rotterdam. La sua voce delicata e soave si sposa alla perfezione con quella calda e profonda dell’artista norvegese, che ne cattura frammenti riproponendoli in loop che fungono da tappeto per gli assoli ora del contrabbasso, ora della batteria. Quel che colpisce di più di Sanem, a parte la tecnica e la sensibilità dei vocalizzi, è la completa immersione nella performance, anima e cuore fusi nel violoncello, con passaggi di estasi totale, enfatizzati da movimenti corporei da Menade skopadea.

A Santi Careta, chitarrista catalano, è toccato l’onore di dare il via alla serata con un lungo arpeggio finger style che ha preceduto Burden of Breath. Jan lo ha voluto fortemente al suo fianco dopo averlo ascoltato per la prima volta «in una notte di mezza estate» al Laboratory of Contemplative Arts, rifugio creativo per artisti di tutto il mondo che sorge a Tavertet, minuscolo comune montano a un paio d’ore da Barcellona.

L’altra chitarra, quella elettrica, è affidata a Eivind Aarset, vecchia conoscenza del TJF nonché connazionale e collega di lungo corso di Bang, con il quale si è esibito sul palco in compagna di totem del calibro di David Sylvian, Jon Hassell, Arve Henriksen e Nils Petter Molvær, prodotti della straordinaria filiera artistica norvegese, frutto delle politiche illuminate promosse dall’Arts Council, l’ente governativo nazionale che finanzia gli artisti impegnati in progetti meritevoli, erogando un vero e proprio stipendio a molti artisti che operano sul territorio nazionale. Pura utopia, alle nostre latitudini.

La sezione ritmica, altro fiore all’occhiello del sestetto e protagonista assoluta nei numerosi momenti di improvvisazione, in particolare durante l’esecuzione di Blue Orphan, è composta da Mats Eilertsen al contrabbasso e Michele Rabbia, torinese e profeta in patria per l’occasione, al quale la sala tributa un applauso speciale. Più che un batterista, Rabbia ha dimostrato una volta ancora di essere un poliedrico maestro del suono ma anche del silenzio, perché a colpi inferti con tecniche e supporti differenti ha alternato momenti di sospensione di grande impatto. «Far suonare il silenzio», creare «camere di suono»: così il musicista sabaudo ama definire questa sua capacità, ereditata e sviluppata attraverso le tante collaborazioni proprio con i migliori musicisti del nord Europa.

L’esecuzione di Haraldskær segna l’epilogo della première di Alighting, sottolineata dal pubblico dell’Hiroshima con un lungo e convinto applauso. Il commiato di Jan Bang è anche un apprezzatissimo augurio per la Festa della Liberazione, al ché le mani battono più forte e da più parti si invoca al bis. Concesso.

Vive dentro la resa
Dove la speranza può respirare
Perché l’oscurità è assenza
Di luce che non riusciamo a guardare

(Darkness merely absenceL’oscurità è solo assenza)

foto di Natalia Menotti

Attila J.L. Grieco

Giornalista, cantante, esperto di comunicazione. Ma ho anche dei pregi, come essere riuscito a farmi battezzare Attila, nascere nell'anno di uscita dell'omonimo e celeberrimo film e condividere con il suo protagonista capigliatura, giorno del compleanno e squadra del cuore.

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