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Intervista a ‘O Zulù dei 99 posse: le parole come cura

‘O Zulù dei 99 Posse racconta il progetto Violenti, un viaggio poetico che ripercorre trentacinque anni di carriera, liberando le parole dal beat. Tra ricordi, lotte politiche e nuove generazioni, l’artista esplora temi attuali come l’antifascismo e si reinventa senza perdere la sua identità controcorrente


Luca Persico, meglio noto come ‘O Zulù, è la voce storica dei 99 Posse, band simbolo di una generazione che ha vissuto e raccontato le lotte sociali e politiche dell’Italia dagli anni ‘90 in poi. Con il suo stile diretto e la sua carica rivoluzionaria, ha sempre avuto un legame profondo con la musica, utilizzandola come mezzo per comunicare e per scuotere le coscienze. Oggi, in un momento di riflessione e trasformazione, ‘O Zulù si racconta in un’intervista in cui esplora il suo nuovo progetto Violenti, il suo rapporto con la scrittura, il peso delle parole e la voglia di narrarsi attraverso il suo libro: Vocazione Rivoluzionaria. ‘O Zulù. L’autobiografia mai autorizzata di Luca Persico.

Partiamo subito dal tuo libro e dal tuo progetto Violenti. Come nasce questa idea?
Tutto è cominciato durante il Covid. Con i 99 Posse abbiamo deciso di non approfittare dei pochi spazi concessi per suonare davanti a un pubblico seduto e imbavagliato, non era il contesto adatto per la nostra musica. Così, in questo lungo periodo di pausa, ho avuto l’occasione di concentrarmi su qualcosa che mi aveva colpito poco prima della pandemia: un reading di cantanti organizzato da Francesco Di Bella. Lì ho letto alcuni miei testi senza beat, in una chiave più poetica. È stato emozionante, una sensazione che mi ha spinto a esplorare un nuovo approccio con le mie parole, lontano dalla struttura classica della canzone.

Questo approccio ha cambiato il tuo rapporto con la scrittura?
Assolutamente sì. Ho riscoperto i miei testi, il loro significato, la loro profondità. Alcune parole, private del ritmo dei quattro quarti, hanno assunto un’altra luce. Ho iniziato a vedere la mia scrittura come un racconto di un viaggio lungo trentacinque anni, diviso in tre decenni: 1991-2001, 2001-2011 e 2011-2021. Da qui nasce Violenti, uno spettacolo che attraversa la mia carriera in modo intimo, accompagnato da un violino, uno strumento che sa parlare e aprire squarci emotivi perfetti per il contesto.

È un progetto che sembra molto personale, quasi terapeutico. È così?
Sì, Violenti è una cura. Le canzoni, per anni, sono state il mio modo di guarire, ma oggi sento il bisogno di raccontare in modo diverso. Da un paio d’anni ho iniziato a scrivere una biografia. È stato un lavoro enorme, ma necessario per mettere ordine nella mia vita e dare voce a tutte le esperienze vissute: Genova 2001, Praga 2000, i viaggi in Palestina, gli arresti, i concerti. È un modo per riflettere sul significato delle scelte fatte e del fuoco che ha sempre guidato il nostro percorso.

La vostra musica ha segnato un’epoca di forti mobilitazioni politiche. Credi che qualcosa del genere sia replicabile oggi?
La nostra storia è sempre stata legata ai movimenti, a momenti di grande fermento politico e culturale. Negli anni ‘90 c’era una generazione che voleva cambiare il paese, le università erano in fermento, i centri sociali fiorivano ovunque. Oggi viviamo un periodo diverso, ma non sono pessimista. Vedo segnali di cambiamento, soprattutto nei giovani e giovanissimi, che si stanno riavvicinando ai nostri messaggi. La scintilla, però, deve arrivare da loro: noi possiamo solo essere legna pronta a prendere fuoco.

La vostra traccia Rigurgito antifascista è ancora oggi molto discussa e purtroppo, come dici tu, tremendamente attuale.
Quella canzone è stata una provocazione, più rivolta alle istituzioni che ai fascisti stessi. Negli anni ‘90, mentre noi denunciavamo il pericolo del neofascismo, le istituzioni si preoccupavano solo di reprimere i centri sociali. Oggi vediamo le conseguenze di quella cecità: organizzazioni neofasciste agiscono indisturbate e il nostro paese continua a ignorare questo problema. Rigurgito antifascista nasceva per mettere in evidenza queste contraddizioni, non per incitare alla violenza, come molti hanno voluto interpretare.

Esatto. È un modo diverso di fare punk. Il punk non è solo violenza, è comunicare, scuotere, fare riflettere. Ogni spettacolo è un viaggio emotivo e non ti nascondo che spesso piango durante le performance, così come molte delle persone presenti.

Come vedi il futuro della musica e dell’arte come strumenti di lotta?
La musica e l’arte possono ancora fare tanto, ma devono essere strumenti di dibattito, di collettività, non solo di competizione. Viviamo in un momento di grande egoismo, dovuto anche all’avvento dei social, ma credo ancora nella forza del collettivo. I giovani hanno il potenziale per cambiare le cose e noi siamo qui per supportarli.


‘O Zulù continua a essere una voce importante e inarrestabile, capace di reinventarsi senza mai perdere la sua identità e il suo impegno. Con il progetto Violenti e la sua biografia, l’artista napoletano si conferma una figura centrale nella musica e nella cultura italiana. Perché, come ci ha insegnato, essere controvento è un’arte che va coltivata ogni giorno.

Ludovica Monte

Anche detta Fragola Brutale, classe 1996, romana fino al midollo. Sul comodino ho il Manifesto Anarchico da leggere come favola della buona notte e nel portafoglio un santino di GG Allin. Amo andare ai concerti, stare ore in libreria, scrivere ed essere polemica. Il mio film preferito è La Haine.

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