Era uno degli eventi più attesi della settima edizione del Sonic Park e non ha tradito le attese. I Dream Theater festeggiano quarant’anni di attività accompagnando il pubblico di Torino in un lungo viaggio nel loro universo di tecnica, potenza, atmosfere uniche e tempi impossibili
Notizia di apertura: il Teatro dei Sogni è ancora aperto. James LaBrie, John Petrucci, John Myung, Jordan Rudess e Mike Portnoy – figliol prodigo – superano a pieni voti la prova del tempo e regalano tre ore di magia al pubblico di Torino, che meno di un mese fa si stava disperando per l’eventualità di perdersi un evento storico, ovvero la data torinese del 40th Anniversary & Parasomnia Tours dei Dream Theater.
A tal proposito, è doveroso un breve riassunto delle puntate precedenti. Alla vigilia della settima edizione del Sonic Park di Stupinigi, precisamente il 6 giugno scorso, le principali testate d’informazione locale diffondono una notizia clamorosa, che per via della superficiale semplificazione giornalistica assume connotati grotteschi: «I pipistrelli bloccano il Festival». Com’è facilmente intuibile, la vicenda è più complessa. Su segnalazione di alcuni gruppi di ambientalisti, l’Ente di gestione delle aree protette dei Parchi Reali del Piemonte ha dato parere negativo vincolante per motivi ambientali all’organizzazione del Sonic Park. Pare, infatti, che all’interno del Castelvecchio, un castelletto medievale ormai ridotto a rudere, posto a sinistra della Palazzina di Caccia, nidifichi una colonia di una specie protetta di pipistrelli. Pertanto, come si legge nella relazione ufficiale, «si ritiene che l’evento possa determinare un’interferenza significativa che supera le soglie di ammissibilità», anche in considerazione della «frequenza dei concerti pianificati, della durata temporale e sulla proposta in materia di emissioni acustiche e luminose».
Ammesso e non concesso che tale colonia di chirotteri esista davvero, il braccio di ferro tra ambientalisti, enti strumentali e organizzatori è in atto da diversi anni e l’oggetto del contendere è sempre il medesimo: l’area del Parco Naturale di Stupinigi è una zona protetta e l’equilibrio dell’ecosistema molto delicato. Così come quello politico: lo sgambetto burocratico a colpi di perizie di parte è sempre dietro l’angolo e alla fine, come spesso capita, ci perdono tutti.
Detto questo, Fabio e Alessio Boasi della Fondazione Reverse hanno fatto i miracoli e anche di più per salvare la manifestazione e garantire lo spettacolo alle migliaia di persone già in possesso di biglietto, nonché il rispetto dei contratti firmati con gli artisti e le aziende di ristorazione, logistica e sicurezza. A parte il gentlemen agreement con il Flowers Festival di Collegno per l’esibizione di Paul Kalkbrenner, l’ancora di salvezza si chiama SET – Scalo Eventi Torino, 21mila metri quadrati nell’area della Continassa, a pochi passi dall’Allianz Stadium. Una zona tranquilla, ampio parcheggio, vasta area pedonale per raggiungere in sicurezza la venue, zona ristoro con food truck per rifocillarsi. Tutto perfetto. Per un congresso, non per una manifestazione musicale di questo livello.
Dispiace, ma è giusto sottolinearlo. La lunga premessa è stata doverosa proprio per far capire le difficoltà quasi insormontabili affrontate dall’organizzazione negli ultimi trenta giorni e per dare atto a Reverse di essere riuscita nell’impresa di salvare l’edizione 2025 del Sonic Park. Però l’area concerti del SET è risultata davvero inadeguata per una fruizione ottimale di uno spettacolo di questo livello, in particolar modo se hai aspettato anni per vedere e sentire il tuo artista preferito e se hai sostenuto una spesa non certo irrilevante tra biglietto e trasferta, considerando le moltissime presenze di appassionati giunti da ogni parte dello Stivale. Lo sviluppo orizzontale del pit, ben oltre le casse di diffusione, il soffitto troppo basso, le colonne in mezzo alla platea, il muro immediatamente alle spalle dei mixer audio/luci facevano rimbalzare il suono in maniera inconsueta e incontrollata, trasformando alcuni momenti di alto virtuosismo musicale in un polpettone ovattato di suoni. Insomma, non proprio l’ambiente ottimale dove godersi dei mostri sacri come i Dream Theater. Un po’ come far giocare Leo Messi sul campo del Nichelino, pipistrelli permettendo.
In ogni caso, di spettacolo si è comunque trattato. Tre ore di assoluto godimento e una scaletta generosa che ha ripercorso il meglio dei quattro decenni di attività della band statunitense, senza tralasciare la promozione del nuovissimo Parasomnia, sedicesimo album in studio uscito il 7 febbraio scorso e lanciato dal singolo Night Terror, non a caso brano di apertura della serata.
Poi subito un trittico niente male tratto da Metropolis Pt. 2: Scenes from a Memory, uno degli album più amati in assoluto: Strange Deja Vu, Through My Words e Fatal Tragedy. Il pubblico è già in fermento e non riesce – non può – restare seduto sulla seggiola assegnata, perché i “ragazzi” sono in splendida forma, perché ogni brano è una suite composita, un frullatore di sentimenti innescati da cambi di ritmo improvvisi, da assoli tecnicamente ineccepibili, perché ad un certo punto ti ritrovi Portnoy in piedi, troneggiante in canotta sulla sua 40th Anniversary Monster — una sobria astronave di pelli, piatti e tre grancasse — a scandire il tempo con le bacchette per chiamare il clap ritmato della platea.
Poi si pesca da Octavarium: è la volta di Panic Attack, dove il batterista di Long Beach si scatena insieme al compagno di sezione ritmica John Myung in quella che – piccola curiosità – venne inserita come canzone più difficile da suonare con basso e batteria in Rock Band 2, videogioco per Playstation e Xbox.
James LaBrie e John Petrucci salgono definitivamente in cattedra su Barstool Warrior, che inaugura la terzina che porta alla fine dell’Atto I e alla pausa di un quarto d’ora. Già, proprio come a teatro; d’altronde, la complessità e la varietà della proposta è assolutamente paragonabile all’opera. Il primo momento “accendini”, oggi ribattezzabile “torce del telefono”, lo conquista Hollow Years, quel tipo di brano che, per tema musicale e sensazioni evocate, passa alla storia come canzone romantica ma che in realtà racconta l’insoddisfazione e l’insofferenza di una vita vissuta in maniera passiva, senza guizzi, senza scelte determinanti. Anni vuoti, per l’appunto. Da sottolineare, nella circostanza, la più che suggestiva intro di Jordan Rudess e John Petrucci, che tengono il palco da soli duettando per oltre cinque minuti per preparare il terreno per l’abbrivio vocale di LaBrie. Take the Time, infine, riporta la spettinata necessaria prima della pausa, cantata a gran voce da un pubblico ormai completamente immerso nello show.
L’Atto II, inaugurato da As I Am, ha un inizio particolarmente spinto, in cui il quintetto si compatta, fa squadra e si rivela in tutta la sua potenza e tecnica. Praticamente un esercizio di stile in abito metal: la doppia cassa mitragliata di The Enemy Inside, la pennata distorta, dritta e ritmata della nuova Midnight Messiah e gli assoli a bpm forsennati di The Dark Eternal Night.
Le atmosfere oniriche tornano nel preludio del gran finale. Peruvian Skies ammalia per le sue aperture sonore, per i passaggi delicati in cui LaBrie può dismettere i panni da metallaro per far vibrare corde più profonde e per i divertenti e apprezzati omaggi di Rudess, che ad un certo punto inserisce in un solo il tema di Wish You Were Here dei Pink Floyd. The Count Of Tuscany è invece una piccola opera nell’opera. La fusione della parte musicale con le immagini delle campagne toscane proposte nello schermo alle spalle della band è di gran lunga più efficace di mille campagne Open to Meraviglia.
Il gran finale è progettato nel migliore dei modi. Bisogna lasciare un gran ricordo: ci siamo emozionati e ci siamo scatenati. Tradotto: The Spirit Carries On e Pull Me Under.
Sipario.
