Il Flowers Festival rinuncia ai grandi numeri che hanno contraddistinto la scorsa settimana, a vantaggio di un ambiente di maggiore familiarità. In un live spontaneo e confidenziale, Venerus celebra l’arte del far musica, trasmettendo al pubblico la sua allegria
Strade sgombre e parcheggi liberi. Il ritorno del Flowers Festival, dopo l’enorme successo – di critica e pubblico – degli Idles lo scorso 29 giugno, non ripete i numeri a cui ci ha abituati nella sua prima settimana. Il Parco della Certosa di Collegno, finora invaso da un oceano di persone, appare sgombro per la prima volta. Eppure in calendario c’è Venerus, probabilmente uno degli artisti più innovativi degli ultimi anni in Italia: sicuramente, se ci fermiamo al suo disco d’esordio, Magica Musica, uscito nel 2021 per la major Sony Music; forse un po’ meno dopo Il Segreto, secondo e ultimo lavoro del musicista milanese – poi londinese e romano –, che sembra non mantenere le suggestioni del suo predecessore.
Poco male, comunque; anzi, meglio, per noi da questa parte dello stage, che abbiamo modo di circolare liberamente senza temere di rimpiangere il nostro sudato posto nel parterre. Ci si potrebbe perfino bere qualche drink, non fosse per il prezzo eccessivo che è ormai quasi una costante in questo genere di eventi – ogni occasione è buona per speculare su chi non ha dove altro andare, in accordo con i paninari schierati in massa oltre i cancelli –.
Ad aprire la serata è Centomilacarie, artista che – proprio come Venerus – deve il suo primo grande successo alle produzioni di Re Mida MACE, che trasforma in oro tutto ciò che tocca. L’artista è giovane e si sente: dall’entusiasmo, dalla grinta. A volte forse anche troppa: tra grida al limite dell’afonia e incitamenti concitati della folla, a tratti il musicista eccede un po’ al di sopra di quanto suggerirebbe il set strumentale che lo accompagna sul palco – forse ridotto per l’occasione –, composto da una batteria e da una chitarra elettrica. Tuttavia, nelle coordinate di un crocevia tra pop e rock, l’artista di Maciste Dischi tiene il palco come fosse casa sua, sorretto dalle grida della sua fanbase armata di telefonini, improvvisamente raddoppiati dopo che il cantante si è tolto la maglietta per suonare Notte Vodka accompagnandosi col pianoforte.
Dopo circa una mezz’ora di live, è il turno di Ele A, all’anagrafe Eleonora Antognini, MC svizzera di Classe ’02. Fa sempre piacere sentire che, sorpassato il dominio trap che tutto ha eclissato per diversi anni, sempre più giovani artisti rap stiano riportando sulla scena l’hip-hop old school, fatto di liriche sudate, casse dritte e bassi intensi. Eleonora tiene il palco con disinvoltura, sorretta dalle basi di Disse, ai piatti sullo stage con lei. L’artista porta in scena Acqua, esordio discografico sotto forma di concept EP, uscito per la Universal dopo le collaborazioni auree con Dj Shocca e Guè nel brano El Clásico e con Marco Castello e MACE – comune denominatore dell’intera serata – in Mentre Il Mondo Esplode.
È il turno di Venerus e lo stage si tinge di colori. Al centro del palcoscenico compare un’asta per microfono rivestita di un peluche tigrato rosa; i fari illuminano la scena di luci gialle, rosse, verdi e viola. Sullo sfondo, due grandi subwoofer presiedono il centro della scena.
Andrea Venerus è un artista fenomenale che suona con musicisti fenomenali, ma questa non è una sorpresa. Non è neanche una sorpresa – o forse lo è? – che le ritmiche funky si facciano predominanti negli arrangiamenti live. Quello che certo ci sorprende, è che ogni brano sembra riarrangiato diversamente rispetto non solo alle versioni incise su disco, ma anche a quelle eseguite nei live precedenti, almeno a quanto ho potuto indagare. Gli arrangiamenti, del resto, sono uno dei punti forti di Venerus, l’asso nella manica che ha trasformato le già ottime idee di Magica Musica in un piccolo capolavoro – e dico piccolo solo perché la parola “capolavoro” impone un eccesso di cautela –. L’altro suo grande pregio – che credo possiamo definire talento – è la capacità di coniugare tra loro così tante differenti sonorità, in prevalenza di matrice black. Dal neo-soul al funky, dall’hip-hop al jazz, passando per il rock e le sue sfumature più elettroniche: Venerus sorvola i generi con disinvoltura, sdraiato su una nuvola di piume rosa.
Sul palco sembrano tutti divertirsi un mondo; è quel tipo di divertimento ingenuo e spensierato, giocoso, spesso accompagnato da una grande e irrazionale fame (if you know what i mean): ad Andrea scappa da ridere in più di un’occasione mentre canta le sue canzoni, le pause sono frequenti e vuote tra un brano e l’altro e sul palco c’è persino il tempo di passarsi un whisky, ringraziandosi con un abbraccio. Il clima accogliente, così caldo e confortevole, di riflesso, coinvolge il pubblico.
La scaletta s’interrompe, a un certo punto, per celebrare un rito d’incoronazione: Filippo Armitano, tecnico di palco fino a quel momento, viene incoronato Principe di Torino con una corona di fiori sgualcita, che Venerus conservava in tasca. Tutti i musicisti siedono a terra intorno a lui, riuniti in una cerimonia che apparirebbe quasi sacra, se non fosse così assurda da strappare una risata.
In sintesi, sembra che i musicisti si esibiscano più per sé stessi, che per il pubblico: il che ha da un lato il grosso vantaggio di trasmettere serenità e disinvoltura agli spettatori, creando un clima rilassato che si diffonde in ogni dove, contagioso come una risata; dall’altro, la sensazione è quella di trovarsi di fronte non a uno spettacolo di grande impatto, come forse ci si sarebbe aspettato, ma piuttosto a un concerto tra amici. Del resto, va bene così; anzi, forse è proprio questa l’intenzione della band: riportare l’esibizione alla sua dimensione ludica, più spensierata e, per certi versi, più autentica e più umana.
Il repertorio portato in scena dai sei musicisti – «noi siamo i Venerus», scherza Andrea sul palco – si è limitato per lo più ai brani de Il Segreto, secondo e ultimo disco dell’artista, lasciando spazio, nel mezzo, a una cover un po’ raffazzonata di Vita Spericolata. A Magica Musica, ahimè, sono riservate solo un paio di canzoni, tra cui la splendida Sei Acqua, riarrangiata più intimista per l’occasione, solo voce e pianoforte. C’è spazio, ancora una volta, per le produzioni firmate MACE: da Love Anthem, No. 1, che ha aperto il live – prima coverizzata al piano da Danilo Mazzone, entrato in solitaria per scaldare il pubblico, poi ripresa dalla band al completo –, fino a Colpa Tua e Dal Tramonto All’Alba, entrambe estratte da OBE.
Dopo un live ricco di sonorità differenti e variegate, ma pur sempre calde e soleggiate, adornato dai frequenti quanto affascinanti assoli di Danny Bronzini alla chitarra e di Mazzone al keytar, il concerto si chiude con la discesa di Venerus dal palco per raggiungere il suo pubblico. Scomparso per un attimo dai radar, l’artista risbuca qua e là, correndo e saltellando in mezzo alla folla, con le braccia alzate e tese a battere le mani in aria.