Dopo la data estiva all’ Hana-Bi, sabato sono tornate a Ravenna le Lambrini Girls, band post punk di Brighton. Il live ha infiammato il palco del Bronson e il pubblico è stato travolto dalla loro straordinaria carica esplosiva
Il live delle Lambrini Girls al Bronson di Ravenna è stato un aut aut: o entri dentro al flusso e ti lasci travolgere, o ne rimani fuori. Peggio per chi ha scelto di non lasciarsi andare. Non si sono fatte attendere – giusto il classico quarto d’ora accademico che scalda gli animi – le due chiome bionde di Phoebe Lunny (voce e chitarra) e Lilly Macieira (basso), che hanno subito fatto capolino sul palco: trionfanti, sicure e decise. Alla batteria, al posto di Catt Jacks – prima batterista del gruppo –, una formidabile new entry il cui nome pare irreperibile, un connubio di precisione ritmica ed energia, requisiti necessari per tenere il passo del Lambrini duo.
Poche note del primo brano in scaletta, Big Dick Energy, e il pogo sotto palco è stato immediato. Si può dire che le due “anime bionde del punk” giocassero in casa: la scorsa estate sono state ospiti all’Hana-Bi di Marina di Ravenna – bagno al mare che fa da equivalente estivo del Bronson Club e luogo di rilevante importanza per la musica italiana e internazionale in Romagna –. In quell’occasione, Phoebe Lunny si è lanciata in uno stage diving dal tetto sopra al palco dell’Hanabi-Bi, scena che sarebbe stato interessante osservare comodamente seduti sulle dune di sabbia, per non perdere un secondo di quella spericolata acrobazia. Sta di fatto che il pubblico sabato sera le ha accolte con calore: il loro era un gradito ritorno e questo era percepibile.
Anche questa volta Phoebe ha cercato il contatto con il pubblico: è scesa in pista più volte e ha interagito con gli ascoltatori, si è fatta largo tra la folla che si apriva bendisposta al suo passaggio. Quello contenuto nell’ ultimo disco, Who let the dogs out – album che hanno suonato quasi integralmente – è un grido di protesta carico di rabbia, che affronta argomenti quali discriminazioni, questioni di genere, disturbi alimentari. Non chiamatela musica violenta o disturbante, se la loro indignazione contro sessismo, razzismo e transfobia dovesse disturbarvi, il problema non è loro, ma vostro.
Chi è riuscito ad accaparrarsi un biglietto, sabato sera si è trovato di fronte all’ esempio più irruente e ben riuscito di girl power: giovani ribelli che fanno della musica una vera e propria denuncia contro disuguaglianze e ingiustizie. Il loro punk rock è furioso, fa vibrare l’impianto e il pavimento, – ma il Bronson è ben abituato al noise pesante – e arriva in faccia come uno schiaffo, così come le parole di protesta urlate a gran voce da Phoebe Lunny. L’impressione è quella che le Lambrini Girls non abbiano e non vogliano avere mezze misure: se non ci si unisce alla ribellione e ai loro sacrosanti ideali, quella è la porta. Compiacere il pubblico non è nel loro interesse e tanto meno indorare la pillola su temi tristemente attuali. Tenaci e risolute nel manifestare con decisione il loro pensiero, allo stesso modo hanno dato vita a un live infuocato e da manuale, preciso e penetrante come un colpo di grancassa.
Certo è che alla fermezza delle loro azioni non mancano di unire un po’ di ironia e sano divertimento, come il nome stesso della band suggerisce: un omaggio al Lambrini, una celebre bevanda alcolica britannica – un sidro di pere a bassa gradazione –, il che potrebbe far cadere le menti più ingenue nel classico luogo comune che vede associare donne a bevande alcolicamente leggere. Non è questo il caso, andarci giù pesante è una cifra stilistica delle Lambrini Girls, quindi non solo si danno da fare con le parole dei loro testi e le distorsioni degli strumenti, ma anche – per loro stessa ammissione – con l’alcol. Lo slogan storico della bevanda,«Lambrini girls just wanna have fun», si addice così tanto alla band di Brighton che sembra essere stato ideato apposta per loro anziché per quel sidro che Phoebe Lunny con fierezza chiama «toilet wine for sluts».
La connessione con il pubblico è stata palpabile durante tutto il live, circa un’ora di musica senza pause, se non quelle per interagire direttamente con i fan, spronati dai cori di Phoebe Lunny che ha espresso con decisione le sue critiche verso il governo inglese e poi, a seguire, verso Donald Trump e Elon Musk; infine, il bersaglio è calato immancabilmente verso Giorgia Meloni, con grande e fragorosa approvazione del pubblico. Lunny spiega che, oggigiorno, ogni luogo ha una forma di governo alla quale opporsi; si potrebbe dire che ognuno porta la sua croce, ma è il desiderio comune di dissentire che fa la vera forza. Lunny grida «free», il pubblico risponde «Palestine!»; Lunny grida «fuck», il pubblico «the police!»; Lenny urla «Trans Lives», il pubblico «matter!»; Lenny ripete «fuck», il pubblico dice «fascists!». Non esistono giri di parole quando il messaggio che si vuole trasmettere è chiaro e se non sta bene a qualcuno, non è certo un problema delle Lambrini Girls, che non hanno nessun problema a mostrarsi incazzate.
La linea guida della band è la coerenza: i testi delle canzoni sono lo specchio delle loro personalità. Brani come Gods country o Bad apple, solo per citarne due tra quelli presenti nel live, sono veri e propri manifesti del loro credo. Il rischio che può correre chi non le ha viste dal vivo è quello di sovrapporre le loro sonorità a quelle dei contemporanei Amyl And The Sniffers. La carica è la stessa, questo è innegabile, ed evidenti sono anche le influenze musicali comuni, risultato con buona probabilità di ascolti affini. Ma il live chiarisce ogni dubbio: le Lambrini Girls stanno creando la loro strada, non si tratta affatto di musica da liquidare con la frase «questa è roba trita e ritrita», anzi, il loro è punk rock attuale e attento a ogni possibile influenza e si potrebbe quasi definire un post-punk costantemente aggiornato.