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I Lalalar fanno ballare il Magazzino sul Po

Dopo la rivelazione al Jazz is Dead 2023, i Lalalar tornano a Torino per presentare il nuovo album, nella loro ultima tappa italiana


Per chi, come me, non avesse avuto modo di conoscerli prima, i Lalalar sono un trio formato dal dj Kaan Düzarat, dal chitarrista Barlas Tan Özemek e dal cantante Ali Güçlü Şimşek. I loro nomi sicuramente non vi diranno niente, eppure tra i presenti c’era chi cominciava già a chiamarli per nome.

Prima dell’inizio del concerto, infatti, c’era già fermento nell’aria. Il Magazzino sul Po era per metà pieno di gente che aveva avuto modo di sentirli lo scorso anno: li si poteva riconoscere in base ai discorsi sul Jazz is Dead, su nomi di canzoni dai titoli turchi incomprensibili e soprattutto dall’euforia in vista dell’imminente concerto. Non immaginavo, però, che avrebbero cominciato a pogare da metà esibizione.

Quest’anno il gruppo portava sul palco anche il nuovo album uscito a settembre, En Kötü Iyi Olur – se la traduzione non è errata significa “Il cattivo diventa buono”–, caratterizzato da sonorità più “sporche” rispetto al primo disco e da cui emerge una vena più ricercata nel folclorismo turco.

La costruzione di base del gruppo – volendo ridurre all’osso – è semplice: una base ritmica su cui il chitarrista parte con riff psichedelici e su cui il cantante si slancia in melismi. Per quanto questo dato possa essere scontato, fa sì che si crei una forte componente identificativa – «we are three friends from Instanbul», ha detto il cantante presentando il gruppo –, che fa l’occhiolino all’eredità dell’ “anadolu rock” degli anni ‘70/’80, portata avanti senz’altro a modo loro.

Scavando più a fondo, l’elemento forte sono sicuramente i beat trasportanti carichi di bassi, un ventaglio di ritmi che ricalcano una buona fetta di matrice occidentale dal gusto hip hop, passando dalla trap fino a sfiorare l’electro-punk – il che giustifica il pogo del pubblico –. Su questi ritmi ben ingegnati il chitarrista costruisce riff e sonorità psichedeliche, legate fortemente alla musica tradizionale turca – più tecnicamente, per i nerd: è il “modo hijaz”, scala ottenuta a partire dal V grado della scala minore armonica –. In qualche brano, infatti, è presente anche un effetto che richiama gli strumenti tipici turchi (il bağlama, forse?). Il cantante, personaggio un po’ istrionico e dalla voce bassa, balla sensualmente sul palco e gioca con il microfono, mostrando una forte presenza scenica. All’occorrenza suona anche il basso, per rinforzare i riff del chitarrista.

Intanto, tra i balli del pubblico, si poteva perfino sentire qualcuno intento a cantare i testi delle canzoni. Il repertorio, infatti, oltre al nuovo album, includeva anche brani del disco precedente. Tra questi, Abla Deme Lazım Olur, riconosciuto dal pubblico immediatamente dal riff iniziale. Uno dei brani ha stuzzicato l’ilarità del pubblico per via del titolo, Göt, che in italiano vuol dire culo. Non sono mancati brani con riferimenti espliciti sia alla situazione politica del paese d’origine della band, sia al repertorio tradizionale turco, riarrangiati a modo loro.

Personalmente, ammetto di essere arrivato impreparato al concerto. Ma se da un lato mi è dispiaciuto non conoscere le loro canzoni, dall’altro ho avuto la possibilità di assistere a una piacevole scoperta. Al loro prossimo concerto, molto probabilmente, sarò tra le fila di quelli che cantano i loro brani.

 

foto di Carlotta Anguilano

Luca Lops

Sbatto tamburi, strimpello un po’ le corde e schiaccio tasti a caso. Ho tante passioni, forse anche troppe, come sono tante le cose che faccio. Mi interessano un po’ tutti gli aspetti che riguardano la musica e grazie a Polvere ho la possibilità di approfondirli.

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