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Godspeed You! Black Emperor alle OGR di Torino: una cerimonia sonora

Luci spente, suoni infiniti. La band canadese ci ricorda l’importanza della musica suonata e del suo potere evocativo, illuminati da pellicole analogiche in un concerto che annulla il tempo. I Godspeed You! Black Emperor sono film in movimento, proiettato dal vivo


Nella penombra delle OGR di Torino, la sera dell’8 marzo 2025 si trasforma in un rito collettivo. La storica Sala Fucine, con la sua architettura industriale e la sua acustica imponente, si riempie lentamente di un pubblico assorto, pronto a lasciarsi avvolgere dalle trame sonore dei Godspeed You! Black Emperor. Prima, però, c’è spazio per un’introduzione altrettanto evocativa.

A inaugurare la serata è Mat Ball, noto come chitarrista dei Big Brave, che porta in scena il suo progetto solista con un set essenziale ma denso di suggestioni. Un singolo faro dall’alto illumina appena le sue spalle ricurve sugli strumenti, lasciando il resto del palco immerso nell’ombra. La sua SG risuona nel vuoto delle OGR, vibrando come echi lontani di un blues smaterializzato. I suoi gesti sembrano frutto di un bisogno espressivo viscerale, che non dà spazio all’imbarazzo o all’incertezza.

L’esibizione oscilla tra il delirio di un nerd in un negozio di chitarre e una ricerca intima, estremamente personale, verso qualcosa di più grande e ancora inesplorato. Mat resta completamente immerso nel suo mondo, indifferente al pubblico davanti a lui. Il risultato è una performance simile a un’opera d’arte contemporanea, che suscita nel pubblico reazioni contrastanti: immersione totale o totale perplessità.

Quando le luci si abbassano di nuovo, il pubblico attende in silenzio. Nessun saluto, nessuna introduzione: solo un drone profondo, un tappeto di basso che cresce lentamente fino a occupare tutto lo spazio. Il primo a emergere nel tessuto sonoro è il violino di Sophie Trudeau, seguito dai colpetti ritmici del contrabbasso, ripetuti e avvolti in un’eco ipnotica.
Il palco è privo di illuminazione, se non per l’essenziale. Quattro proiettori cinematografici analogici, gestiti da Karl Lemieux, fanno scorrere pellicole sovrapposte in tempo reale. Le immagini si fondono e si trasformano, tra elementi naturalistici, volti anonimi e parole cancellate. I filmati si alternano in sincronia con la musica, creando un’esperienza immersiva dove il visivo e il sonoro diventano un tutt’uno.

Il concerto si sviluppa attraverso lunghe suite strumentali, alcune delle quali risalgono ai primi lavori della band come Slow Riot For New Zero Kanada (1999) e altri tratti dai dischi più recenti, tra cui G_d’s Pee AT STATE’S END! (2021) e l’ultimo album No Title as of 13 February 2024, 28,340 Dead (2024).

I brani si dilatano in crescendo imponenti, passando da momenti di quasi silenzio, dove ogni minimo dettaglio sonoro viene amplificato dall’acustica della sala, a esplosioni orchestrali in cui le chitarre di Efrim Menuck e Mike Moya si fondono in muri di suono. Il violino di Sophie emerge come un grido in un paesaggio desolato, mentre il basso e il contrabbasso di Thierry Amar e Mauro Pezzente tessono un tappeto sonoro profondo e pulsante che, anche grazie alla doppia batteria di Timothy Herzog e Aidan Girt, tiene la band ancorata a groove caratteristici post-rock. Le due batterie alternano momenti di precisione chirurgica a esplosioni di caos controllato, sostenendo la tensione inarrestabile delle composizioni, che spesso culminano in crescendo monumentali.
Le stratificazioni sono mozzafiato, l’intreccio degli strumenti è perfetto e ognuno dialoga con gli altri in maniera naturale e coesa. Il suono si espande e si contrae come un organismo vivente, mentre le proiezioni di Lemieux continuano a fondersi con la musica, accentuando il senso di immersione totale.

Dopo un’ora e mezza di tensione e catarsi, il concerto si conclude senza un vero finale. Gli strumenti si spengono uno a uno, il rumore di fondo si dissolve lentamente, le immagini sui proiettori si dissolvono mentre i nastri scorrono sempre più lentamente. Non c’è nessun bis, nessun ringraziamento, nessun saluto. Solo un silenzio carico di echi e vibrazioni residue mentre la band abbandona il palco con la stessa discrezione con cui era entrata.
Un lungo applauso riempie l’aria, poi il pubblico rimane immobile per un momento, prima di iniziare lentamente a defluire, ancora sospeso nella vertigine di un’esperienza che, più che un concerto, è sembrata una cerimonia sonora.

 

foto di Giorgia Mirabile

Primo Polzifari

Vivo dentro la musica da sempre e cerco di descrivere al meglio ciò che mi emoziona.

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