A vent’anni dall’uscita di 60 Hz, DJ Shocca torna con 60 Hz II, un’opera che celebra le radici del rap italiano con una visione aggiornata e coerente. Tra sound boom bap, estetica brutalista e una nuova generazione di featuring, il producer trevigiano firma un disco che suona classico ma parla al presente. Un monumento sonoro che riafferma la centralità dell’underground nella scena contemporanea e nella storia del rap
Nel panorama del rap italiano, DJ Shocca rappresenta un punto fermo, una figura di riferimento indiscutibile per almeno due generazioni di ascoltatori e artisti. Classe ’79, originario di Treviso, Shocca – aka Roc Beats – ha saputo costruire una sua identità sonora precisa e riconoscibile, basata su sampling, scratch e lo storico Akai S950. Uno stile che affonda le radici nella controcultura e nel rap underground dei primi 2000 e che si impone con coerenza e fedeltà da oltre vent’anni.
Per comprendere appieno l’importanza di 60 Hz II è fondamentale tornare al 2004, anno di uscita di 60 Hz, un producer album che avrebbe segnato per sempre la traiettoria del rap italiano. Quel disco è un manifesto avanguardistico, poiché fu capace di avvicinare le scene rap di tutta Italia: da Treviso a Palermo, passando per Milano, Bologna, Roma. Un mosaico sonoro eterogeneo, che poteva essere creato solo in un tempo ancora analogico: era l’epoca delle connessioni offline, delle città e delle province, della cultura condivisa nei centri sociali, nelle jam, nei locali piccoli ma pieni di fumo e idee. Era il tempo delle crew – Dogo Gang, PMC – che svilupparono una loro lettura dell’hip hop. Suoni e testi erano profondamente riconoscibili e restituivano un’enorme varietà di interpretazioni culturali, riflettendo nel rap quello che era il vero vissuto delle strade, delle piazze e delle loro nottate trascinate.
In questo contesto, 60 Hz è un album che suonava coeso e autentico, una vera e propria guida al rap italiano DIY capace di restituire la varietà stilistica delle scene locali, ma con un’identità forte e unitaria, un album che è rimasto nei lettori CD di intere generazioni che lo hanno consumato traccia dopo traccia. Dentro troviamo inni del rap divenuti immortali non solo per la carriera di Shocca, ma anche per quella degli artisti coinvolti (Bolo by Night per Inoki o Stupidi per Bassi Maestro, ad esempio).
Shocca aveva pubblicato un album intoccabile: sarebbe stato più semplice lasciarlo nell’olimpo della storia del rap nostrano, eppure ha deciso di rimetterci mano, lanciandosi in un’impresa ambiziosa che però non intende ripiegarsi nostalgicamente sul passato, ma riconoscerne il valore e la matrice aggiornandolo.
E così, a distanza di vent’anni, 60 Hz II arriva come una celebrazione di quel patrimonio culturale, inserendosi però in un quadro che vede il mondo del rap cambiare profondamente forma e rispondere con attenzione crescente agli stimoli del mercato, quasi perdendo di vista la sua missione e l’anima antagonista e artigianale da cui è nato.
Pubblicato a giugno 2025, il nuovo capitolo non fatica a riunire intorno a sé una squadra di fuoriclasse: tutti vogliono esserci, nessuno si tira indietro perché il vero riconosce il vero. Il disco è strutturato in quattro blocchi – quattro quarti – ognuno composto da un remake di un classico (Roc ha costruito i beat da zero) e due brani inediti, seguiti da un interludio per passare poi al blocco successivo.
La prima sezione si apre con 60 Hz II, intro che richiama immediatamente l’atmosfera del primo volume: bassline riconoscibile, lo scratch di Shocca che convoca tutti i presenti come fosse l’appello per un’assemblea storica. Si inizia con la prima traccia, i Dogo sembrano tornati quelli di 20 anni fa, caldissimi sul nuovo beat di Rendez Vouz Col Delirio II, che sfuma con una serie di cuts finali interessanti.
Seguono Ghemon e Neffa con Stella Nera, un soul rap e primo pezzo nuovo del disco. Emozionante poi riascoltare la voce postuma di Primo, con Guè ed Izi, in una traccia quasi cinematografica che ci fa vivere un film dalla regia magistrale.
Nella seconda sezione troviamo Notte Blu II, rifatta con Gemitaiz, Ernia e Frank Siciliano – purtroppo solo al ritornello – poi Il Diavolo in Me con Silent Bob e Johnny Marsiglia, e How we Roc che ripropone Ensi e Nerone con l’alchimia ormai collaudata in Sacrosanto, il disco precedente di Shocca.
La terza parte ospita il remake di un grande classico – Ghettoblaster II – che vede riuniti Jake La Furia, Izi e gli immancabili Stokka & Madbuddy, ancora in grado di trasmettere energia pura. Questo è veramente un inno del rap italiano che non arriva da Milano ma da Palermo (centrale). Tornano anche i leggendari Inoki e Danno questa volta insieme. Giorni di Piombo è un pezzo di denuncia sociale in cui figura tra i sample Dove sono i bastardi di Lou X, figura di punta dell’hardcore rap formatosi nella scuola posse. Madbuddy chiude con una traccia densa, «firmo parole come croci sopra chi non dissente», legata da un bridge che riprende Adesso lo so di Mistaman, in 60 Hz.
La sezione conclusiva è tutta cuore: Sempre Grezzo – brano scritto da Primo per il primo volume e oggi affidato a Tormento, con il quale Primo ha avuto un legame fraterno – con Egreen in un toccante tributo è sicuramente il momento più emotivo del disco (ciao Primo!). L’album si chiude con Quelle Sere, con Mistaman e Clementino, e infine un’ultima scarica con Ele A e Nitro in Baggy.
Esteticamente, il disco non è da meno. La copertina, curata da Dee Mo, raffigura DJ Shocca in stile brutalista sovietico, con un woofer tra le mani, come se fosse un monumento della Repubblica Popolare del Rap. I volti in cemento degli artisti richiamano le icone politiche scolpite nei muri dell’Europa dell’est, ma stavolta a essere celebrata è la cultura hip hop come patrimonio popolare.
60 Hz II non è solo un album, è un documento culturale. Un ponte tra passato e presente, che rinnova senza tradire, che ricorda senza nostalgia, che suona classico ma non polveroso. Un’opera destinata a restare, come la mano di Shocca che ancora tiene stretto il suo S950 e lo fa suonare come se il tempo non fosse mai passato.