Dai concerti metal a Game of Thrones, per arrivare fino ai giorni nostri: Ramin Djawadi è diventato in poco tempo uno dei compositori più richiesti nel panorama mondiale, grazie alla sua semplicità, al suo rigore e anche a un pizzico di fortuna
Non sempre nella semplicità c’è banalità. Ramin Djawadi non è forse un grande innovatore della composizione musicale, ma usando quello che gli riesce meglio, come il pianoforte e la chitarra, il compositore tedesco passa alla storia per aver fatto rinascere il feticismo per la musica televisiva: semplicità, rigore e un pizzico di fortuna lo incoronano di un successo mondiale che tutt’ora persiste con il sequel House of The Dragon e la nuova serie tratta dal videogioco Fallout.
Nato a Disburg in Germania nel 1974, da mamma tedesca e papà iraniano, all’età di quattro anni suona il piano riproducendo a orecchio le melodie domestiche. Da adolescente si appassiona alla chitarra, dopo aver assistito in prima fila a un concerto degli Anthrax. Ma sarà una visione quasi mistica de I Magnifici Sette (1960) a illuminare la strada: ammaliato dalla colonna sonora di Elmer Bernstein, imbraccia valigia e chitarra e si dirige a Boston presso il Berklee College of Music. Ramin vive di ogni influenza musicale possibile: dal romanticismo tedesco di Beethoven e Chopin, alla musica contemporanea della sua adolescenza come i Metallica e la scena new wave europea, fino ai giorni nostri con Adele e Bruno Mars. Dopo la laurea in film scoring nel 1998 la sua vita prende una piega decisamente interessante.
Il Remote Control Productions è una azienda musicale voluta da Hans Zimmer con sede a Santa Monica, California. La Remote è una fucina di talenti musicali in cui Ramin diventa assistente di Klaus Badelt, che da giovane fu assistente di Zimmer e oggi è mentore del nostro. Dopo anni di praticantato, firma nel 2004 la sua prima score per Blade: Trinity, che gli varrà poi il lancio nella scena cinematografica con Iron Man (2008) e Pacific Rim (2013). Le influenze rockeggianti dell’età adolescenziale si mescolano benissimo con l’epicità dei film d’azione, ma nonostante il successo delle pellicole, il nome di Djawadi non viene riconosciuto. Non sarà lo stesso per i successivi contributi nella serialità televisiva.
Per Ramin il passaggio dal cinema alle serie non cambia. Oltre a sensibilità e predilezione per le opere stratificate e dalla trama oscura, c’è un ascolto costante di produttori e creatori, con cui Ramin guarda ogni episodio lasciandosi suggestionare da personaggi, sottotesti, ambientazioni. Per Game Of Thrones (2011 -2019) il lavoro sui temi è stato gigantesco, come lo è la stessa serie, unica nell’ammontare di trame e personaggi. Per questa ragione, molti acquisiscono un proprio tema musicale quando iniziano il loro cammino individuale e di formazione: Needle, il tema di Arya Stark, è suonato su un Dulcimer martellato – una sorta di chitarra senza manico – e compare solo quando la ragazza scappa da Approdo del Re per iniziare il suo cammino verso il Nord. Speciale è l’uso di strumenti etnici e antichi: per il tema dei Dothraki, l’uso del Duduk, un flauto armeno che suona come un oboe, dona potenza e desolazione allo stesso tempo.
Per Ramin la musica guida l’audience in egual modo alla scrittura, nel caso di Game Of Thrones la cosa divertente è che si è guidati non solo verso la giusta direzione, ma anche in quella sbagliata. In questo senso, con Light of The Seven, la serie raggiunge toni musicali impressionanti. Cersei Lannister sta per essere portata in tribunale per i suoi crimini. Sembra la fine di un’era tormentata, ma sotto quella facilità nel consegnarsi all’Alto Passero c’è nascosto ben altro. Musicalmente parlando, questa inquietudine nascosta è interpretata dal pianoforte: è la prima volta nella serie che appare uno strumento moderno, e questo insinua nelle orecchie dello spettatore un’anomalia del sistema. Lights of The Seven è un continuo scambio tra positivo e negativo, dove il piano persiste con tonalità minori e apocalittiche, i silenzi e le voci maschili in falsetto ci rasserenano, continuando a ingannarci della possibile vittoria sul male. In più, il genere cambia totalmente: siamo sulle tonalità della musica classica, a tratti clericale, che ricorda le messe composte a Venezia da Antonio Vivaldi.
Il pianoforte, però, diventa protagonista assoluto nei suoi ultimi lavori. Nella sigla di Westworld (2016 -2022), il vecchio e finto West abitato da androidi, Ramin cattura i due mondi su cui si costituisce la serie: il piano western e la chitarra acustica da saloon combaciano con i suoni sintetizzati ed elettrici del mondo della robotica. Notevole inoltre il lavoro di riadattamento di alcune chicche della musica rock, come Paint It Black dei Rolling Stones, Pyramid Song dei Radiohead e Black Hole Sun dei Soundgarden. Ne Il Problema dei Tre Corpi (2024 -), adattamento televisivo del romanzo dello scrittore cinese Liu Cixin, ritorna la trama complicata e la stratificazione dei personaggi, questa volta in viaggio tra passato, presente e futuro. Il passaggio di epoche trasforma il piano in una navicella spaziale, volteggiando tra pop e jazz e ripetendosi su sé stesso come un codice Morse, ribadendo il concetto di comunicazione con l’altro e la scoperta dello sconosciuto.
Come spesso accade, il repertorio di un compositore non si ferma al cinema o alla tv: Ramin lavora a fianco del suo assistente Brandon Campbell, anche lui un praticante del Remote di Zimmer, e insieme compongono le musiche per The Diofield Chronicles – molto simile per ambientazione e storia a Game of Thrones –, Gears of War 5 e New Worlds di Amazon Games.
Un ascolto profondo dell’altro fa di Ramin Djawadi un compositore attento e preciso, sicuramente unico nel modo in cui un personaggio prende vita al di là delle immagini in movimento. La profondità con cui studia i sottotesti e i non detti di ogni singola scena, lo rendono a oggi uno dei compositori più meticolosi e drammaturgicamente attenti nel panorama mondiale.