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Coca Puma a Torino si è sentita quasi a casa

Ieri sera, a Spazio211, delle ragazze timide si sono prese il palco. Dalle atmosfere più cupe della torinese Edera a quelle sognanti della romana Coca Puma che tra nu jazz, dream pop e un po’ di elettronica ha fatto fare tardi al pubblico di Torino


Inizia in un’atmosfera cupa con luci blu soffuse e una macchina del fumo tarata nelle profondità della pianura padana la data torinese di Coca Puma a Spazio211

Il compito di aprire le danze è affidato a Edera, progetto solista di Margherita Ferracini, musicista e cantante anche della band alt rock torinese Irossa, che se la ride intonando I muri, brano del suo EP Abitudini. In realtà, le sonorità in minore proposte da Edera più che ridere fanno sprofondare in umori più malinconici. Le linee melodiche della chitarra si mescolano a sonorità più elettroniche che creano un clima delicato e avvolgente, completato dalla voce delicata di Ferracini. Ad accompagnarla sul palco sono Valerio Ravigliono alla batteria e Federico Padrini, con cui Edera si alterna a tastiere e chitarra, entrambi membri di altri progetti musicali, rispettivamente Irossa e Spore

Il fumo si dirada e le luci iniziano a virare su toni più caldi quando invece a salire sul palco è Coca Puma, nella data torinese del suo tour andata sold out già da qualche settimana. Calze bianche, vestito rosa antico tutto balze e merletti, accompagnato dall’ormai proverbiale cappello da pescatore che nasconde ai più i suoi lineamenti delicati in quella che sembra una versione haute couture di Myss Keta

Coca Puma, versione breve di Costanza Puma, è romana, è classe 1998 ed è tutto quello che non ti aspetti. Apre il concerto con Lupo Volkswagen, brano del suo album d’esordio Panorama Olivia, che proietta il pubblico in un’altra dimensione. Il pezzo, che mescola elementi di elettronica alla voce quasi sussurrata dell’artista, crea un senso di intimità e di straniamento in cui la platea inizia volentieri a perdersi. Lei si sbilancia in un timido sorriso quando si accorge che anche il pubblico della fredda Torino conosce le parole di alcuni suoi brani come Porta Pia, Tardi e Quasi a casa, quest’ultimo scritto per la colonna sonora del film di Carolina Pavone

Il live, dopo un inizio in punta di piedi, inizia mano mano a caricarsi di ritmo, rivelando tutto l’animo pop di Panorama Olivia. La stratificazione dei suoni, frutto dell’amalgama tra gli strumenti più tradizionali come la chitarra di Antonio Falanga, la batteria di Davide Fabrizio e il basso di Stefano Rossi e quelli più sintetici ma caldi del moog, è in grado di creare un’atmosfera momentaneamente distaccata dalla realtà, in cui si mantengono i piedi per terra solamente per ballare. Nemmeno un piccolo problema tecnico al microfono su Tardi, risolto con prontezza e con meno ripetizioni della sanremese Creuza de mä, è riuscito a fare breccia in questa bolla di ballo.

Come schegge impazzite tra i brani di Panorama Olivia, anche una cover di Sparks dei Coldplay e qualche nuovo pezzo. È il caso per esempio di Sangue nelle vene, scritto «mentre ero molto arrabbiata», eventualità difficile da credere possibile sia vedendola gironzolare per il palco con un vestito alla Florence Welch sia ascoltando il brano che nasconde del divertimento di fondo. 

«Non avevo idea di avere a Torino un pubblico così fantastico, sembra di stare a casa», dice Coca Puma verso la fine del concerto; «quasi a casa», precisa dopo una pausa con un cenno di intesa verso Stefano Rossi. Le fa eco il pubblico che intona a squarciagola il «se ne va se ne va se ne va» del testo, anche se di andarsene non ne ha proprio l’intenzione. 

Parte infatti un’aspra contrattazione sul finale: «Ve ne faccio una nuova?», chiede la cantante; ma dal pubblico risponde solo una ragazza urlando: «No! Quasi a casa!», tra il risentimento dei curiosi che avrebbero invece accolto di buon grado una novità. «Entrambe?», chiede Coca Puma con una voce che diventa incredibilmente flebile nel parlato. «Entrambe», è il compromesso finale su cui concordano tutti. 

E così, tra un bis e un nuovo pezzo con un incredibile groove anni ‘80, si chiude anche la data torinese della musicista che alla fine la serata l’ha portata a casa, quasi a casa. 

 

foto di Natalia Menotti

Giulia Beghini

Non sono un'ingegnera, non sono una giornalista. Sono un po' come Balto che so soltanto quello che non sono, ma almeno non abbaio. Il mio rapporto con la musica è da credente non praticante: non sono capace di suonare niente, ma credo valga la pena ascoltare di tutto.

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