Cara Ansia è il nuovo singolo di Khamilla, artista emergente torinese che con questo brano si fa portavoce di un tema che ci riguarda tutti: l’ansia. Il messaggio che traspare dall’ascolto di questa traccia è che l’ansia va ascoltata e che con essa ci dobbiamo parlare, perché ha davvero molto da dirci. Per quanto difficile da tollerare, l’ansia è un’emozione molto importante, capace di avvertirci se qualcosa nell’ambiente non va più bene per noi; qualcosa che il nostro corpo ha già capito ma la nostra mente ignora ancora. Ecco perché parlarle, condividendo anche la nostra rabbia, è un primo passo per comprenderla
«Ma che fa se per un attimo ci sediamo e parliamo di limiti, che dove vivi tu non ci vivo più». Così inizia Cara ansia, l’ultimo singolo dell’artista torinese Khamilla, che ci mette davanti ad una domanda: ma noi che rapporto abbiamo con la nostra ansia?
Il brano rappresenta una lettera aperta a una delle emozioni considerate più scomode all’interno del nostro spettro dal momento che, quando arriva, porta con sé una serie di sintomi fisici – nodo alla gola, peso sul petto, mente annebbiata – che spesso ci bloccano dal proseguire qualsiasi cosa stiamo facendo. Ma quest’ansia che tanto ci infastidisce, perché esiste?
L’ansia è un’emozione e, come tutte le emozioni, non è giudicabile come buona o cattiva. Esiste perché ha una sua funzionalità – sebbene spesso non venga compresa – e funge da bussola per i nostri desideri, i nostri confini e le nostre paure. Tutte le emozioni sono accompagnate da delle sensazioni fisiche: la rabbia e l’eccitazione alzano la nostra temperatura corporea, la tristezza la abbassa, la paura irrigidisce i nostri muscoli o prepara il nostro corpo alla fuga. Le sensazioni corporee legate all’ansia posso risultare più spiacevoli, come il nodo alla gola e la fatica a prendere fiato; «sembra di respirare catrame da giorni», per citare Khamilla. Da un punto di vista biologico, ci portiamo appresso dai nostri antenati un meccanismo chiamato “attacco o fuga” – in inglese fight or flight –, che rappresenta una risposta evolutiva a un ambiente ostile. In tempi antichi il meccanismo attacco o fuga si attivava in maniera automatica davanti a situazioni potenzialmente pericolose per la nostra sopravvivenza ed era accompagnato da reazioni fisiologiche attivate dal sistema nervoso autonomo. Tale comportamento è ampiamente osservabile in natura negli animali che si preparano a combattere (fight) o a scappare (flight) davanti a una situazione di pericolo.
Ma come funziona questo meccanismo? In determinate situazioni l’amigdala rileva una potenziale minaccia e manda un segnale all’ipotalamo, che a sua volta attiva il sistema nervoso simpatico, causando di conseguenza il rilascio degli ormoni dello stress: adrenalina e noradrenalina. Il rilascio di questi due ormoni causa una serie di cambiamenti fisiologici: aumento del battito cardiaco, respirazione rapida, dilatazione delle pupille per vedere meglio, aumento del flusso sanguigno e del glucosio nei muscoli per prepararli a combattere o scappare. Questa attivazione fisiologica porta ad un aumento della vigilanza – anche se a volte può presentarsi confusione mentale – e la comparsa di ansia e stress, mentre se la minaccia sembra inaffrontabile può prevalere la paralisi fisica.
Nella società occidentale odierna è difficile trovarsi in una situazione di pericolo come è stato per i nostri parenti primitivi, magari alle prese con un leone o con altri predatori affamati, ma questa risposta biologica è rimasta e si è adattata alle situazioni che, nel mondo moderno, ci possono causare ansia e stress, come il lavoro, le relazioni o l’insicurezza verso noi stessi. A volte l’ansia non è ben direzionata, ovvero appare come un’attivazione generalizzata alla quale non sappiamo dare una spiegazione, ed è proprio in queste situazioni che la scrittura diventa uno dei tanti modi per cominciare ad entrare in contatto con questa emozione e provare a comprenderla.
In Cara ansia, Khamilla porta in superficie un tema importante: parlare con la propria ansia per capire che cosa ha da dirci, perché di cose da dirci ne ha tantissime. L’ansia infatti, al giorno d’oggi, è uno dei modi che il nostro corpo ha trovato per comunicare con noi, per avvisarci di qualcosa che non ci sta bene ma che a volte scegliamo di ignorare. Con il progresso tecnologico ci siamo sempre più distaccati dalle sensazioni corporee, ma il nostro corpo e le nostre emozioni sono una bussola senza la quale rischiamo di muoverci nel mondo in maniera inconsapevole, talvolta ignorando le cose che ci fanno del male. Ed è qui che, attraverso sensazioni difficili da ignorare, l’ansia viene in nostro soccorso, per ricordarci che c’è qualcosa che non sta funzionando, qualcosa che stiamo rifiutando, seppur in maniera inconsapevole.
Khamilla parla di controllo, procrastinazione e pensieri intrusivi: tutte cose che potrebbero essere definite come adattamenti creativi, ovvero il modo migliore che la persona ha trovato per tenere sotto controllo l’ansia. Ma se essa non va via, forse dobbiamo fare qualcosa di diverso. Ed è qui che provare a parlarle e a comprenderla può avvicinarci al capire da cosa ci sta mettendo in guardia, cosa il nostro corpo sta rifiutando mentre la mente è ancora all’oscuro. Se mangiare «pane e pensieri intrusivi» inizia ad esserci indigesto, di cos’altro – più digeribile – possiamo nutrirci?

