Dal palco silenzioso del Chiostro alle esplosioni di energia in piazza, Ypsigrock intreccia 4 giorni di musica, riflessioni e comunità. Un’esperienza che unisce avanguardia e pop, celebrando la libertà e la voglia di cambiamento
Il giorno si apre lento, tra tende che si piegano, odori di caffè improvvisato e frasi spezzate che si perdono nell’aria già calda. L’Ypsicamping ha un suo ritmo parallelo al festival: qui la musica non è ancora una folla compatta, ma un filo di suono che attraversa colazioni tardive e occhi assonnati. Sul Cuzzocrea Stage, durante gli ultimi 3 giorni del festival, sei proposte emergenti prendono la parola: Gaia Banfi, Sour Girl, Mountain Piercer, Indianizer, Fofoforever e Onlyfun. È il vivaio del festival. Non un’appendice, ma un laboratorio a cielo aperto, dove si annusa il futuro. Nella calma apparente del mattino, qui si respira un’anticipazione silenziosa: la sensazione che, da questo piccolo palco, qualcosa sia pronto a esplodere altrove.

Più tardi, facce stanche si raccolgono dentro il Chiostro di San Francesco, si salutano come vecchi amici, complici di grandi gesta. Tanti sono già seduti sulle pietre calde, altri sdraiati aspettano in silenzio. L’apertura dell’ultima giornata non potrebbe essere più azzeccata. Sul palco solo due chitarre e un’asta preannunciano l’entrata di Jacob Alon. Originario di Fife (Scozia), ha imparato il piano a nove anni e la chitarra a quindici, incantato dai suoni di Nick Drake e Adrianne Lenker. Il suo debutto, In Limerence (30 maggio 2025), ha ricevuto recensioni entusiastiche. Il Chiostro si fa tranquillo, incantato da una presenza leggera e magnetica, che ricorda un acerbo Buckley. Dopo la prima canzone l’artista invita il pubblico a sedersi, comprensivo dell’eccessivo caldo. L’interazione con il pubblico è spontanea, amichevole e in pochi minuti crea legami intensi, complice anche lo spazio raccolto. La voce di Jacob è capace di passare da un falsetto struggente a toni più avvolgenti, mentre le sue mani suonano una chitarra con eleganza impeccabile. La performance fa entrare tutti in una dimensione intima e disarmante, che ammalia, e il Chiostro intero resta in un silenzio contemplativo.
Gli Ebbb sono un trio londinese formato da Lev Ceylan (produttore, synth), Will Rowland (voce) e Scott MacDonald (batteria). Suonano elettronica mescolando radici corali e orchestrali a influenze che vanno dal grindcore al dream pop. Scott spinge senza risparmio, mentre Lev suona un synth tessuto su ampi pad, sostenendo l’intera struttura armonica. La voce di Will, incalzante, ripete frasi come un mantra, evocando un’atmosfera quasi liturgica. Il risultato ricorda i primi Passion Pit o qualcosa dei White Lies. Un set piacevole ma che, forse, lascia una sensazione effimera, destinata a svanire insieme alle ultime note.
L’ultima salita verso Piazza Castello è più lenta e faticosa del solito, ma quando si arriva sembra ormai casa. Col calar della sera, l’Ypsi Once Stage si trasforma ancora una volta in un teatro di aspettative, dove il pubblico questa volta sembra cercare una culla per rilassarsi e un po’ di pace dal caldo che, giorno dopo giorno, ha raggiunto il culmine.
Apre Milo Korbenski, misterioso talento di Brighton, mascherato, con cappello Stetson e camicia di jeans. Autore prolifico, ha autopubblicato diversi lavori prima di firmare con Phantom Limb; il suo stile è intimo, sincero, pieno di hook potenti, lo-fi e slacker indie. Insieme a Lee Bright, gli artisti si presentano come un power duo essenziale ma deciso. Milo ha una chitarra collegata a un set up ibrido capace di gestire sia le frequenze del basso sia quelle della chitarra. Il risultato è un suono pieno e compatto, che richiama i Royal Blood ma in una versione più diluita e meno abrasiva. Un approccio diretto, senza fronzoli, che punta sulla potenza del formato ridotto. Oggi il pubblico è stanco e difficile da accendere, ma una performance del genere aiuta a far scattare una scintilla.
A incendiare il pit ci prova quindi Sylvie Kreusch, cantante belga (Antwerp), formatasi con Soldier’s Heart e Warhaus, ora solista dallo stile teatrale e sensuale. Montbray (2021) è stato il suo debutto solista, seguito da Comic Trip (2024): due album che uniscono pop sperimentale, elettronica e testi espressivi drammatici. Sylvie porta sul palco una formazione a sei elementi: basso, chitarra, batteria, percussioni, piano e synth. L’entrata è trionfale, scandita da una sigla che la introduce come una diva degli anni ’50. Il colpo d’occhio è magnetico: stivali bianchi alti, un ampio abito trasparente e glitterato, bordato di pelliccia che ricorda il costume di una pattinatrice sul ghiaccio anni ’80 o una regina delle nevi, con un tocco – penso – volutamente buffo.
Lo spettacolo ha il respiro di un grande musical: arrangiamenti sontuosi vengono incorniciati da cori impeccabili di quattro membri della band, coesi e scintillanti, come colonne sonore da Hogwarts. La sua voce e il suo comportamento da diva riescono a mantenere il pubblico dentro l’atmosfera, anche se i brani, lunghi e complessi, presentano strutture ripetitive e arrangiamenti sempre molto pieni che, alla lunga, appiattiscono le dinamiche e rischiano di stancare. Sul palco Sylvie si muove con energia inesauribile, oscillando tra movenze funk e rock dance anni ’70/’80 in stile ABBA e gesti plateali che ricordano il burlesque. La sua vestaglia svolazza come un fantasma, catturando i riflessi delle luci e creando giochi di trasparenza. Il momento finale vede un tentativo di coinvolgere il pubblico che non va del tutto a segno, anche se lo spettacolo coreografico e luminoso strappa applausi e ovazioni.
Intorno, l’aria di Castelbuono mescola il fumo di scena con il dolce profumo dei forni, portando in piazza un’atmosfera tra sogno e sagra di paese.
I prossimi sono i Public Service Broadcasting, progetto londinese ideato nel 2009 da J. Willgoose Esq., cui si sono affiancati Wrigglesworth (batteria, piano, elettronica), JF Abraham (flugelhorn, basso, percussioni) e Mr B (visual e scenografia). Concepita come “conceptual pop historiography”, la band fonde campioni d’archivio, narrativa storica (dal dopoguerra alla corsa spaziale), elettronica e art-rock. Il quartetto londinese apre il set con un brano scandito dalle immagini in un display di strumenti aeronautici proiettato alle loro spalle. Mr B, munito di telecamera, filma i musicisti in tempo reale e intreccia le riprese con visual curatissimi, sovrapponendo il presente alla memoria visiva del passato. Ci troviamo di fronte a un racconto musicale del progresso: dalle miniere all’industria, passando per conquiste tecnologiche e sogni di esplorazione, con campionamenti di voci d’archivio e atmosfere tanto evocative quanto incalzanti.
La tensione resta sempre altissima grazie a un sapiente gioco di pieni e vuoti, che lascia spazio tanto alla musica quanto alle immagini narrative. I crescendo, potenti ed emotivi, sfumano in ritmi travolgenti, tappeti sonori onirici e riff da futuri distopici. Sequenze di synth retrò anticipano la sensazione dell’allunaggio, mentre potenti distorsioni si fanno spazio in momenti da pogo. Una performance al di fuori dei classici schemi da band, che regala a tutti un’esperienza unica: il relax e la curiosità di un documentario, mischiato all’adrenalina e all’emozione di un concerto super coinvolgente. Con Go!, la piazza si scatena, finalmente libera da un torpore durato anche troppo a lungo. L’uso del vocoder e sonorità synthwave ante litteram amplificano il senso di viaggio: una traiettoria che parte dalla rivoluzione industriale e culmina sulla vetta più alta del mondo, l’Everest. A quel punto, il pubblico è caldo: partono i primi crowd surfing e il pit si prepara all’ultimo atto con un’energia pronta a esplodere.
Purtroppo, l’attesa per gli English Teacher è più lunga del previsto, tra la folla qualcuno sbadiglia, altri si sdraiano sulla scalinata del castello, sempre illuminato da un video-mapping psichedelico.
Il quartetto di Leeds – Lily Fontaine, Lewis Whiting, Douglas Frost, Nicholas Eden – è stato premiato con il Mercury Prize per il loro debutto This Could Be Texas (2024) : album che mescola ironia, osservazione sociale e inventiva musicale. Non solo brani accattivanti, ma anche posizioni culturali forti: la band ha evidenziato la crisi delle venue indipendenti e l’importanza dei finanziamenti regionali.
Finalmente, sul tendone vengono proiettate le parole «This Could Be English Teacher». Ci siamo, The World’s Biggest Paving Slab fa tirare a tutti un sospiro di sollievo e riaccende anche gli sguardi più stanchi. I quattro sono accompagnati da Blossom Caldarone al piano e al violoncello, che contribuisce significativamente a costruire un’aura solenne in alcuni arrangiamenti più scarni.
Nonostante la giovane età, sono tutti musicisti dal talento incredibile, che si lanciano in strutture dai tempi dispari, arpeggi intricati, scale armoniche e pattern ritmici che accarezzano il math rock. La complessità della loro musica è affascinante, ma fa uno strano effetto a un pit pronto a scatenarsi: ogni piccola tensione è un pretesto per partire, per poi fermarsi subito al primo calo di tensione. Questa attesa viene ripagata con Nearly Daffodils, dove finalmente esplode un ultimo momento di euforia. Dopodiché, siamo tutti pronti per lasciarci cullare in dolci ballad, abbracciati l’un l’altro con gli occhi al cielo durante la notte di San Lorenzo. C’è chi cerca qualche stella cadente e chi rimane in contemplazione di un sipario che si chiude su quattro giorni sicuramente memorabili.
L’Ypsigrock 2025 termina quindi con un momento di raccolta, dove le anime più irrequiete trovano riposo tra i cuori stanchi di chi, questo festival, l’ha vissuto fino all’ultima goccia di energia. Mentre il trucco cola e i gli strass cadono tra i sanpietrini, si fa fatica a lasciare una piazza che, in questi giorni, ha gridato emozioni fortissime e creato legami tra persone e culture. Una piazza in cui si è parlato di politica, di libertà, di giustizia, di uguaglianza; dove nessun pregiudizio, né sociale né musicale, è riuscito a scalfire le porte di un castello mutato in luogo sacro.
Un tempio di divertimento e di riflessione, di libera espressione e accoglienza. Ypsigrock è un luogo che incarna lo spirito di un’Italia che cerca il cambiamento e vuole prenderselo con forza. Un luogo in cui è possibile scoprire artisti di nicchia a contatto con le star del mainstream, grazie a una direzione artistica che mischia l’avanguardia al pop, rendendo tutto alla portata di tutti. Non ci resta che prenotare un posto all’Ypsicamping il prossimo anno.
